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Che cosa (non) ho capito di Davide Casaleggio ospitato da Lilli Gruber

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Temo che Matteo Renzi – lo temo per lui – abbia sbagliato, e di grosso, indicando in Davide Casaleggio il “vero capo” del Movimento 5 stelle. Sempre che, naturalmente, il segretario rientrante del Pd abbia parlato nella sua lunga intervista a Panorama della stessa persona che ha appena fatto il suo esordio televisivo nello studio di Lilli Gruber, a la 7, supportato dal giornalista Gianluigi Nuzzi (leggi qui l’intervista di Formiche.net a Nuzzi) e dal sociologo Domenico De Masi.

Se il figlio di Gianroberto Casaleggio, che si accinge a celebrare a Ivrea la memoria del padre a un anno dalla morte con un convegno molto reclamizzato, fosse davvero il capo dei pentastellati, l’ex presidente del Consiglio avrebbe buone possibilità di batterlo, per quanti errori egli possa continuare a compiere inseguendone lo spirito demagogico anti-casta e cose simili. Cosa che purtroppo Renzi ha fatto rovinosamente nella campagna referendaria sulla sua riforma costituzionale motivandola non per i contenuti innovativi che aveva, per quanto pasticciati sotto certi aspetti, ma per i risparmi che, secondo lui, avrebbe garantito ai contribuenti riducendo il numero dei senatori da 315 a 100, fra consiglieri regionali e sindaci, e presumendo di tenerli a stecchetto con i soli rimborsi delle spese. A documentare le quali, peraltro, proprio i consiglieri regionali hanno abbondantemente dimostrato in questi ultimi anni di che cosa sia perfidamente capace la fantasia umana.

No. Il capo del movimento che sta scalando il vertice nella graduatoria elettorale dei partiti è e resta quel mostro di bravura dello spettacolo che è Beppe Grillo. Del quale mi dicono che abbia scoperto, deluso e preoccupato, di perdere continuamente spettatori in teatro senza darsene una ragione. Che invece c’è, ed è forse il segreto del successo del suo movimento. La gente non ha più bisogno di inseguirlo nei teatri perché se lo vede e se lo sente tutti i giorni, in diretta e in differita, senza bisogno di spendere un centesimo in biglietti per sé, familiari e amici.

Tanto Grillo ti fa ridere o arrabbiare, secondo i gusti, quanto Casaleggio ti lascia indifferente a sentirlo parlare. Ma indifferente forse è dir poco, perché a pensarci bene ti viene alla fine un dubbio abbastanza irritante. Non sai se sei tu incapace di afferrarne il ragionamento o lui incapace di farne di comprensibili, o – peggio ancora – abbastanza furbo da rimanere nel vago per non farsi scoprire.

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Al netto del ruolo di supporto, ripeto, svolto dall’ospite di studio Nuzzi e da Masi, che in collegamento non so da dove si faceva distinguere più per lo strapazzo degli occhiali stretti fra le mani che per le sue riflessioni, ogni volta che la povera Lilli Gruber cercava di stringere, diciamo così, Casaleggio su un tema, rimaneva all’asciutto. E sgranando gli occhi era costretta a far rilevare all’interlocutore di non avere risposto alla sua domanda.

Ciò è accaduto, per esempio, quando Casaleggio è tornato a indicare nelle solite “pensioni d’oro” il malloppo dove attingere per finanziare il costosissimo reddito di cittadinanza. Giustamente Lilli lo ha invitato a precisare l’entità di una pensione d’oro. Cinquemila euro al mese? Lordi? Netti? Di più? Di meno? Ah, questi sono aspetti tecnici dei quali parlano appunto i tecnici, ha risposto Casaleggio, un po’ infastidito dall’insistenza o dalla curiosità della conduttrice. Che magari voleva farsi anche qualche conto in tasca, toccando pure a lei prima o poi di andare in pensione, e non volendo fare la fine di una barbona. Sarebbe, per com’è bella, un vero peccato.

Non è andata meglio alla povera Lilli quando ha cercato di approfondire il ruolo di Grillo nel movimento, oltre quello un po’ generico e abusato di “garante”. Che, in quanto autonominatosi, si stenta obiettivamente a capire cosa e chi debba garantire se non se stesso.

Collegato a questo tema è naturalmente il tipo e grado di democrazia nel movimento che aspira addirittura al governo del Paese, per giunta da solo, non ritenendo nessun altro all’altezza di allearsi o collaborare. L’episodio giustamente citato da Lilli delle cosiddette comunarie di Genova, vinte da una insegnante locale ma bocciata da Grillo in persona, che le ha preferito lo sconfitto, risultato poi vincitore in una consultazione digitale non più limitata a Genova ma estesa a tutto il paese, è stato rimosso da Casaleggio con un gesto delle mani più eloquente delle parole uscitegli dalla bocca.

No, ripeto. Non è cosa. Non mi è sembrato un capo. E neppure un politico. Nè credo che sia apparso tale a Lilli Gruber, della quale mi spiego così la rinuncia a chiedergli se alle prossime elezioni, o a quelle ancora successive, pensa di potersi candidare alla Camera e al Senato, non foss’altro per rimanere più facilmente e frequentemente a contatto con i cosiddetti “portavoce” del movimento. Che egli ora viene a Roma a visitare di tanto in tanto, o chiama a rapporto a Milano.

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Più vedevo e sentivo Casaleggio alla televisione e più mi tornava alla mente l’effetto procuratomi nel lontano 1989 dalla famosissima intervista di Sergio Zavoli a Mario Moretti, per la serie de “La notte della Repubblica”.

Con Moretti naturalmente Casaleggio non c’entra niente. Ci mancherebbe altro. Quello fu lo spietato brigatista rosso che nel 1978 capeggiò la sanguinosa operazione del sequestro di Aldo Moro e interrogò a lungo l’ostaggio per poi ucciderlo nel bagagliaio di un’auto che sarebbe stata lasciata in sosta a mezza strada il 9 maggio fra le sedi nazionali della Dc e del Pci, rifiutatisi di trattarne il rilascio scambiandolo con 13 detenuti promossi al ruolo di prigionieri politici. Casaleggio è invece un signore incapace, credo, di impugnare una pistola, e forse neppure un accendino: misterioso sì ma pacifico. E desideroso di rivoltare questo nostro sistema politico con le sole risate dell’amico Beppe.

Ebbene, quando guardavo e sentivo Moretti intervistato da Zavoli mi chiedevo, incredulo, come un uomo così banale, per le cose che diceva, avesse potuto procurare tanto danno a un altro uomo e, ancor più, al sistema democratico del nostro Paese. Di cui ho sempre detto che sopravvisse ma monco al delitto Moro.

Ho guardato e sentito Casaleggio con la Gruber e i suoi due supporter e mi sono chiesto come sia possibile che il nostro sistema, a 39 anni dall’assassinio di Moro, sia peggiorato a tal punto da rischiare di essere affondato con la declamazione di tante vaghezze, per quanto a 5 stelle.

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