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McFarland fuori dal Consiglio di sicurezza, McMaster normalizza Trump?

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La vice consigliera per la Sicurezza nazionale statunitense KT McFarland dovrebbe a giorni lasciare il suo ruolo per accettare un’offerta come ambasciatrice americana a Singapore (il posto richiede l’approvazione del Senato) dice la Bloomberg. McFarland, ex commentatrice di Fox e collaboratrice già in altre amministrazioni, era stata assunta nel ruolo dall’ex advisor Michael Flynn, dimessosi in tempi record dopo essere finito invischiato fino in fondo nel dossier Russia/Trump. Flynn aveva avuto conversazioni con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti durante le quali avrebbe promesso a Mosca un atteggiamento più morbido nei confronti delle sanzioni (l’abolizione?) alzate dalla precedente amministrazione: sul contenuto di questi dialoghi, ufficialmente non autorizzati, Flynn avrebbe mentito prima all’Fbi che gli aveva chiesto chiarimenti nell’ambito delle attività di controspionaggio e poi al vice presidente Mike Pence.

I SIMBOLI DI TRUMP FUORI DALL’NSC

McFarland è uno degli ultimi simboli pronti a crollare del nuovo corso che il presidente Donald Trump, e più che altro i suoi falchi, avevano cercato di dare al Consiglio. Corso che è già cambiato, e per questo Trump stesso gli avrebbe chiesto di dimettersi. Il National Security Council (Nsc) è un organo consultivo interno alla Casa Bianca che ha un ruolo rilevante perché è un gabinetto di segretari, top ufficiali dell’esercito e dell’intelligence, e diversi altri esperti, che indirizza il presidente su tutte le questioni che riguardano la sicurezza nazionale, con voce dunque anche sulle politiche strategiche su Esteri e Difesa. Trump aveva cercato fin da subito di imporre la sua impronta nel Nsc: Flynn è stato il primo degli alti funzionari dell’amministrazione a essere nominato (e con lui McFarland poco dopo) per esempio. O ancora, Trump aveva inserito nel comitato principale del Consiglio (quello permanente e più importante) il suo stratega politico Stephen Bannon, dando un’evidente impronta politica a quell’élite di interlocutori. Bannon, che nel consiglio faceva giocare il peso che ha nel circolo del potere, è stato estromesso la scorsa settimana con un memorandum firmato dal presidente, mentre domenica è arrivata dalla Bloomberg la notizia (non una novità assoluta, ma una conferma) che anche McFarland sta per uscire. E questo per molti versi può significare che la riorganizzazione del Nsc si sta portando dietro un ri-bilanciamento dei poteri nell’inner circle trumpiano.

SEDUTI AL TAVOLO DEL COMANDO

Un segnale di quello che sta succedendo arriva da una foto uscita nei giorni scorsi e scattata nelle ore in cui Trump ha deciso l’attacco di ritorsione in Siria.

Nella situation room improvvisata nella tenuta di Mar-a-Lago c’erano i principali uomini dell’amministrazione, molti dei quali fanno parte anche del Nsc: il segretario di Stato Rex Tillerson, quello al Tesoro Steve Mnuchin, l’altro al Commercio Wilbur Ross, l’attuale capo del Nsc HR McMaster, il capo dello staff Rience Priebus (e il suo nuovo vice Joe Hagin), il consigliere (genero-in-chief) Jared Kushner, seduti al tavolo con il presidente. Dietro, in una sedia in un angolo Bannon e il suo fidatissimo Stephen Miller (colui che per esempio ha materialmente scritto i cosiddetti “muslim ban“), un altro aide del Nsc (Michael Anton) il portavoce Sean Spicer, il direttore del Consiglio economico Gary Cohn (probabile prossimo capo dello staff), e un’unica donna, Dina Powell. Powell, esperta consulente di politica estera di origini egiziane (è cristiana copta, la minoranza bersagliata in queste ore dall’IS) e anche lei ex dipendente di Goldam Sachs (skill che nel curriculum da presentare per prendersi un posto nell’amministrazione Trump ha un peso), è (era) considerata il bilanciamento interno al National security council alle visioni aggressive di McFarland. Sulla catena di comando teorica, Powell che ricopre l’incarico di deputy advisor for strategy dovrebbe essere sotto a McFarland, ma l’ex analista Fox non era stata invitata al briefing operativo in Florida – Powell sì. Non è un caso se quella foto è uscita, non è un caso la disposizione all’interno della stanza, non è un caso l’assenza di McFarland, nel sistema iconografico-comunicativo delle amministrazioni americane.

LA FORZA DI KUSHNER

La presenza di Powell ha un significato politico su quel riassetto di poteri. Dina Habib Powell è stata inserita nel Consiglio per limitare il potere di McFarland e avviare il passaggio di consegne, con l’obiettivo che diventasse la più potente vice di McMaster. Oltre al rapporto professionale con il generale, e oltre al bagaglio tecnico (è molto esperta di Medio Oriente), si porta dietro un appoggio nevralgico: quello della famiglia di Kushner, quindi di Ivanka Trump. La figlia prediletta del presidente accede spesso a Powell per consigli strategici, si fida, ne apprezza le capacità analitiche, e per questo l’ha voluta nel team che tratta le questioni dei diritti delle donne e (l’hanno voluta lei e il marito) all’interno dell’ufficio per l’Innovazione, organo che Kushner presiede e di cui fa parte anche Ivanka. Il genero di Trump è in una fase brillante: da sempre è stato il bilanciamento alle visioni più dure e radicali di Bannon e Flynn, un cane da guardia vicino ai normalizzatori (il gruppo di segretari che cerca di indirizzare l’azione di governo di Trump verso una linea più vicina al Partito Repubblicano e più in generale alla tradizione delle amministrazioni americane). Kushner in questo momento sta vincendo lo scontro interno con Bannon, e il Nsc è uno dei campi di battaglia – ma ancora Bannon ha molto potere, e resta comunque il primo tra i consiglieri di Trump. Però basta dare un occhio ai compiti formali o informali del genero-in-chief per capire che attorno a lui girano questioni rilevanti: dall’innovazione, alla pace israelo-palestinese, alla lotta contro la criminalità e al traffico di oppiacei, fino ad accogliere le delegazioni dei governi stranieri che arrivano a Washington (“shadow diplomat” l’ha definito l’Nbc). Kushner, che è comunque impelagato anche lui con il Russiagate, sta pian piano diventato il volto, raffinato e pulito, dell’amministrazione Trump (pochi giorni fa era in Iraq a far visita ai soldati sul fronte anti-IS e per incontrare il governo locale, ed è stato molto deriso per il look molto-sartorialist, blazer pantaloni khaki e Rayban Wayfarer: “Ralph Lauren’s of Arabia” è stato il commento geniale del politologo Ian Bremmer).

MCMASTER NORMALIZZA

Domenica, il generale McMaster nella sua prima intervista televisiva come capo del Nsc ha detto che sulla Siria gli Stati Uniti avranno un doppio obiettivo, combattere lo Stato islamico in testa, e poi facilitare il passaggio di consegne del presidente siriano. Il Consigliere ha specificato che non si tratta di un “regime change” – le operazioni dirette per destituire i dittatori fatte in Libia o in Iraq negli anni passati nell’ottica dell’interventismo liberale che Trump ha sempre criticato – ma di prendere consapevolezza che nessun processo politico a Damasco può innescarsi finché c’è Bashar el Assad al potere. Secondo McMaster i primi a essere coscienti della situazione devono essere i russi, e con loro innescare un processo che tolga il rais dal suo posto e avvii la transizione (ma gli Stati Uniti sono comunque pronti a nuove azioni unilaterali). Questa posizione è molto simile a quella sostenuta finora dagli Stati Uniti di Barack Obama, che mentre combattevano i baghdadisti davano supporto ai ribelli siriani sia con (debolmente) a livello militare, sia sul piano diplomatico. Un modo di leggere la crisi siriana che di certo rientra più nel solco dei repubblicani, rispetto al disinteresse che Trump aveva mostrato finora.


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