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In Iran alle presidenziali si candida Ahmadinejad (e forse è anche un Trump effect)

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Un giornalista di Associated Press ha visto i documenti che Mahmoud Ahmadinejad ha presentato per sua la candidatura alle elezioni presidenziali che ci saranno il 19 maggio.

ARGOMENTO POLITICO PER ROUHANI

La potenziale presenza tra i candidati dell’ex presidente, considerato uno dei simboli della linea più dura e conservatrice iraniana, è un argomento politico che potrebbe mettere in difficoltà Hassan Rouhani, attuale presidente più o meno moderato (per quanto in Iran questa definizione assume comunque labili sfumature), considerato finora il favorito per la vittoria – Rouhani deve ancora formalizzare la sua candidatura.

IL MEDIA TOUR DI AHMADINEJAD

“La candidatura è frutto di un’attività politica che va avanti da mesi. Ahmadinejad si è fatto vedere in giro, si è fatto fotografare a inaugurazioni e in zone rurali e disagiate come il Khuzestan in cui ci sono stati problemi ambientali e infrastrutturali che lui ha attribuito a Rouhani, ha rilasciato interviste ai media dove condannava le politiche economiche del governo attuale (sopratutto la scelta di tagliare sussidi mensili, introdotti da lui, che invece secondo Rouhani sono disfunzionali per l’economia)” spiega a Formiche.net  Cinzia Bianco, analista specializzata in Medio Oriente della Nato Defence College Foundation e Phd Candidate all’Università di Exeter. Di più, aggiunge Bianco: “Ha fatto un suo video per Nowruz (la festa iraniana per il nuovo anno, ndr) e si è perfino iscritto a Twitter, da dove ha mandato messaggi tipo ‘follow me’; non comune per un leader iraniano dalla linea dura). Ha scritto anche una lettera di 13 pagine all’amministrazione americana con i suoi consigli per le policy globali”.

LA STRATEGIA POLITICA

Qual è il suo piano? “C’è una cosa che va sottolineata: in tutte quelle occasioni pubbliche, o era accanto al suo ex vice Hamid Baghaei, oppure quando non c’era l’ha sempre nominato come alternativa o soluzione a Rouhani. Il punto è questo: la Guida suprema Ali Khamenei aveva fatto intendere di voler bloccare un’eventuale candidatura di Baghaei, e sarebbe eventualmente il secondo pupillo di Ahmadinejad che la Guida blocca, dopo Esfandiar Rahim Mashaei nel 2013″. Anche su Ahmadinejad era stato posto un veto preventivo dal potere teocratico un anno fa, quando Khamenei disse che la candidatura di Ahmadinejad non era “né nel suo interesse né in quello del paese”. Dunque? “Nel sistema statale della Repubblica islamica, il leader supremo ha possibilità di bloccare chiunque ritenga necessario, e se pubblicamente dice ad Ahmadinejad di non candidarsi significa che ha intenzione di fermarlo. A questo punto la strategia politica è: o blocca Ahmadinejad, oppure Baghei, perché difficile che lo faccia con entrambi”. Un modo per Ahmadinejad di garantire che le proprie istanze siano comunque rappresentate, perché, spiega Bianco. Ma con quali possibilità di vittoria? “Sarebbe strano, al limite assurdo, che Khamenei non blocchi Ahmadinejad, anche se lui avrebbe delle possibilità perché, per esempio, gli effetti di questo nuclear deal non decollano e in generale le posizioni radicali stanno prendendo più spazio, anche con l’aiuto dei Guardiani. Io credo che Ahmadinejad voglia passare i suoi voti a Baghaei, che ha più possibilità di non essere bloccato ma è espressione della stessa parte politica”.

ACCORDO E CORSA AL NUCLEARE

Mentre Rouhani è il leader che ha chiuso l’accordo sul nucleare iraniano con le potenze occidentali, e che ha permesso (soprattutto attraverso il nuke deal) una riqualificazione di immagine dell’Iran, Ahmadinejad, presidente già per due mandati, è stato colui che ha alzato il ruolo di Teheran nella lista degli stati canaglia. Durante il suo mandato, dal 2005 al 2013 (con la rielezione del 2009 aperta nel sangue con cui ha soppresso le rivolte di piazza), l’Iran è finito sotto la rigida scure delle sanzioni internazionali, collegate al piano per la produzione della bomba atomica.

EFFETTO TRUMP

Le posizioni radicali nel paese hanno ripreso piede negli ultimi mesi, anche a causa di una postura più aggressiva nei confronti delle Repubblica islamica da parte dell’amministrazione americana. Donald Trump per primo, e con lui molti membri della squadra di governo, hanno visioni molto critiche nei confronti dell’Iran: un’aggressività che s’è fatta manifesta da quando l’attuale presidente statunitense ha dichiarato di voler rivedere, o distruggere, “il pessimo accordo” che Barack Obama aveva chiuso a proposito del nucleare (in realtà gli Stati Uniti sono solo uno dei firmatari, e abolire l’accordo significherebbe aver il placet degli altri negoziatori, Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Cina). “Le posizioni estremiste sono galvanizzate dall’ostilità di Trump. Rispondono perfettamente alla retorica del ‘l’apertura e la conciliazione sono o una sharada o una cosa temporanea legata a delle persone che non rappresentano davvero gli americani, che invece sono comunque dei guerrafondai’”, spiega Bianco.

E LA SIRIA

In un’intervista in cui il generale Vincenzo Camporini analizzava con Formiche.net gli effetti del raid americano in Siria, l’ufficiale italiano (già capo di stato maggiore della Difesa e ora consulente strategico per i Comandanti supremi della Nato) sottolineava come uno dei vari rischi dell’azione unilaterale statunitense poteva essere un ulteriore infiammarsi delle posizioni più radicali e conservatrici in Iran, in ottica elettorale. Si ricorda che Teheran è un alleato storico del regime siriano, ha investito soldi e uomini, ha un credito di sangue nei confronti di Damasco, e ha fatto in modo di spostare il governo brutale ma sostanzialmente laico del presidente Bashar el Assad sotto un asse ideologico sciita, in evidente conflitto a distanza con le istanze sunnite dei ribelli sostenute dalle monarchie del Golfo.

 

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