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Chi sono davvero i lobbisti?

Riccardo Nencini lobbisti

Ai tempi della Prima repubblica li chiamavano “sottobraccisti”, per l’abitudine di aspettare in agguato, seduti su un divanetto del transatlantico della Camera, e afferrare per il braccio il parlamentare di turno che usciva dall’aula. Li conosciamo per qualche reminiscenza di “House of Cards” o per qualche vecchio stereotipo, quasi sempre negativo. Ma i lobbisti, quando fanno bene il loro mestiere, non hanno nulla a che vedere con la corruzione e l’affarismo. Da gennaio alla Camera dei Deputati c’è un regolamento in discussione all’ufficio di presidenza: l’intento è iscrivere i lobbisti in un registro ufficiale e dare alle lobby addirittura una stanza apposita in Parlamento. Martedì mattina al Salone della Giustizia dell’EUR Telos A&S, società di lobbying e consulenza, ha organizzato un seminario per fare il punto della situazione con dei professionisti.

IL LOBBISTA: FACILITATORE O MEDIATORE?

Chi è e cosa fa il lobbista? E soprattutto le lobby sono un pericolo per la democrazia? Queste sono alcune delle domande che nascono quando leggiamo l’immagine che dei lobbisti danno i giornali, quasi sempre quella di faccendieri con la rubrica del telefono piena di numeri importanti. Mariella Palazzolo, fondatrice di Telos A&S, cerca da tempo di sfatare questi falsi miti. In particolare si dice stupita che perfino nel recente caso CONSIP si sia parlato di lobby: “Ultimamente c’è stato un incremento dell’uso del termine lobbista in inchieste giudiziarie che non hanno nulla a che vedere col nostro lavoro”. Il lobbista non è un corruttore, un trafficante di influenze: se fosse così, non ci sarebbe alcun bisogno di regolamentare, “per loro c’è già il codice penale”. Chi fa lobbying invece, secondo Marco Sonsini, lobbista di punta di Telos A&S, è un mediatore: porta le istanze del privato alle istituzioni pubbliche, ma le porta mediandole con altri interessi. Così quando parla con un parlamentare o un dirigente ministeriale rappresenta sempre un intero settore, mai una sola azienda.

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Il lobbista non lavora mai da solo. Per definizione per fare lobbying serve un interlocutore, e quasi sempre si tratta di un politico o un dirigente della pubblica amministrazione. Martedì mattina in sala di politici ce n’erano due: il viceministro dei Trasporti Riccardo Nencini e Marco Di Maio, segretario del gruppo PD alla Camera. Nencini, che è ai vertici di un ministero dove l’attività di lobbying è frequentissima, sa quali sono i pericoli quando non c’è regolamentazione. Di recente si è ritrovato ad affrontare la diatriba tra taxi e Uber: anche loro in qualche modo “sono depositari di un interesse non lontano da un interesse privato”, insomma una lobby. Due in particolare sono i problemi a cui un politico deve far fronte. Il primo è la frammentazione: oggi non ci sono più interlocutori unici che rappresentino un intero mondo, ma quasi sempre minoranze ed è difficile conciliare tutti gli interessi. Il secondo è la verticalizzazione: oggi le lobby interagiscono direttamente con il potere esecutivo, ad esempio gli assessori di un comune o della provincia, perché gli iter legislativi non sono trasparenti o accessibili ai privati finché la legge non è pubblicata.

REGOLAMENTARE PER SALVARE LA REPUTAZIONE

Uno studio approfondito di Openpolis uscito a gennaio ha fatto il quadro dell’attività di lobbying in Italia paragonandolo alla situazione di Bruxelles. In Italia le lobby non sono regolamentate, o almeno non ancora. Ma almeno su questo punto il resto dell’UE ci fa buona compagnia: solo 6 paesi su 28 hanno istituito un registro obbligatorio in parlamento. Il nostro paese qualche passo avanti lo ha fatto: da settembre il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha aperto un registro per i lobbisti al Ministero. Perché non si arriva a una regolamentazione completa? “Sul testo delle lobby c’è come una maledizione. Venne redatto nel 2006, è entrato in tutti i consigli dei ministri e non è mai riuscito a uscirne fuori, nessuno lo vuole, anzi evidentemente è la politica a non volerlo” sostiene Michele Corradino, consigliere di Stato e membro dell’Autorità nazionale anti-corruzione (ANAC). A chi conviene allora regolamentare? “Alle PMI per farsi conoscere dalla pubblica amministrazione” continua Corradino, perché le grandi imprese non ne hanno bisogno, “entrano direttamente nelle stanze dei direttori generali e dei ministri”.



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