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Tutti i dettagli sulle tensioni fra Donald Trump e Corea del Nord

Intervistato dal Financial Times, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump tra le altre cose è tornato ad avvisare la Cina di fare qualcosa per mettere un freno alle politiche militari aggressive e provocatorie della Corea del Nord.

“FARE DA SOLI”

Se non lo fa Pechino, ha avvisato Trump, dovremmo fare da soli: il monito è evocativo di qualcosa in più rispetto alle, dure, sanzioni che hanno caratterizzato la postura americana in questo ultimo decennio. Bloccare la gran parte degli asset esteri di Pyongyang ha messo in crisi economica il Nord (non più tardi della scorsa settimana 11 uomini del regime operativi all’estero sono stati colpiti dai provvedimenti americani). È il frutto di una strategica che aveva l’obiettivo di aspettarne pazientemente l’implosione. Che però non è ancora arrivata, e nemmeno la pretestuosa corsa al nucleare militare del regime di Kim è stata scoraggiata.

L’AZIONE ARMATA IN UN CONTESTO DELICATO

Trump sottintende l’azione armata, e lo fa alla vigilia di un “incontro difficile” (come l’ha definito su Twitter lui stesso) che avrà giovedì e venerdì, quando ospiterà nel buen retiro di Mar-a-Lago il presidente cinese Xi Jinping. L’amministrazione americana la scorsa settimana ha già preso misure simboliche sul riequilibrio commerciale che riguardano anche (soprattutto?) la Cina. Poi è arrivato l’avviso politico-militare perché Pechino, l’unico ad avere influenza e ascendente su Pyongyang, si occupi di “fermare” la situazione. I cinesi sono più o meno esplicitamente accusati dagli americani di essere crocevia e attracco dei vari traffici clandestini con cui il regime nordcoreano riesce a svicolare dalle sanzioni. Ma Pechino è insofferente, per carattere ideologico-culturale, alle continue minacce del Nord e potrebbe essere arrivato il momento che decida di muoversi – un peso nella svolta ce l’avrà il reale approccio americano alla Cina.

UN TEST A BREVE PREOCCUPA

Per quanto noto, pare che la Corea del Nord stia progettando un altro test nucleare (dopo i due del 2016) nei prossimi giorni, e questo potrebbe essere l’asticella che Washington non vorrebbe veder superata. Un avviso su questa linea era arrivato già a metà marzo dal segretario americano di Stato Rex Tillerson. Tillerson aveva parlato della possibilità di un attacco in anticipo (“Penso che sia importante riconoscere che la diplomazia e gli altri sforzi degli ultimi 20 anni per portare la Corea del Nord a denuclearizzarsi sono fallitie”, le sue parole), e le spifferate uscite dall’amministrazione sostenevano che “tutte le opzioni sono sul tavolo”: informazioni uscite mentre il segretario era in visita dagli alleati regionali – quelli come Corea del Sud e Giappone, che sentono più seriamente la situazione, vista la vicinanza geografica e la possibilità di ricadere all’interno del cerchio di gittata di eventuali missili del Nord.

GLI SCHIERAMENTI AMERICANI

Anche come rassicurazioni a questi paesi, il Pentagono negli ultimi mesi ha rafforzato la propria presenza nell’area: dalla portaerei nucleare “USS Vinson”, ai bombardieri strategici in Corea del Sud, dove sono stati spostati anche alcuni uomini del Team Six dei Navy Seals (quelli che hanno ucciso Osama, potenzialmente pronti per missioni assassine behind enemy lines) ed è iniziata l’installazione del sistema di difesa antimissilistico THAAD (Terminal High Altitude Area Defense system). Il monitoraggio satellitare è costante – da qui vengono le informazioni sui test in atto e soprattutto su quelli in programma.

I RISCHI DI UN ATTACCO

Tra le varie opzioni, attacchi mirati contro i siti missilistici e contro gli impianti e le fabbriche di armamenti, azioni mirate fino al rischio di un conflitto aperto. Con le conseguenze però che la cosa si allarghi e che coinvolga i paesi della regione (Cina e Russia compresi). E che alleati americani come Giappone e Corea del Sud possano finire sotto le ritorsioni armate di Pyongyang.

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