Un risultato scontato nell’esito ma assolutamente inaspettato nelle dimensioni: Matteo Renzi è stato confermato segretario del Partito democratico con più del 70% dei voti – i più ottimisti tra i suoi lo attestavano al 65% – e da due milioni di elettori, a fronte di una partecipazione attesa che lui stesso, durante il confronto su Sky della scorsa settimana, aveva fissato attorno al milione. Una vittoria netta che lo ripropone con rinnovata forza alla guida del Pd dopo la sconfitta del 4 dicembre e la fine del suo governo. “Ma adesso non cercherà di riportare il Paese subito al voto: la prospettiva per le elezioni politiche è al 2018“, commenta con Formiche.net un renziano doc come Stefano Ceccanti, professore di Diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza e senatore dem nella scorsa legislatura.
Professore, è un trionfo inatteso almeno nei numeri?
Direi assolutamente di sì, a partire dalla questione fondamentale della partecipazione. Bisogna sempre tenere presente che queste primarie si sono svolte dopo quattro anni di governo a guida Pd. Basti guardare a quanto accaduto in Francia dove, alla consultazione del Partito Socialista, quest’anno ha partecipato la metà delle persone che aveva scelto François Hollande nel 2012. E’ il governo che usura ma nel caso del Pd e di Renzi molto di meno: i dati dell’affluenza sono diminuiti ma in modo non così rilevante considerato che si trattava pure di una domenica inserita in un ponte.
Sta dicendo che, nonostante il 4 dicembre, Renzi e il Pd non escono in fondo così logorati dagli anni del governo?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e comprende non solo l’ex presidente del Consiglio ma anche il partito, che ha tenuto come soggetto collettivo. Vorrei però sottolineare anche un altro dato.
Quale?
La doppia vittoria di Renzi sia tra gli elettori che tra gli iscritti del Pd: un inedito nella storia dell’ex premier che, ad esempio, anche nell’affermazione del 2013 faticò tra gli iscritti.
E gli altri due candidati Andrea Orlando e Michele Emiliano?
Il primo ha confermato le previsioni con una percentuale molto simile a quella ottenuta nelle precedenti primarie da Gianni Cuperlo mentre Michele Emiliano mi sembra sia andato un po’ peggio: all’inizio della campagna elettorale si diceva che potesse persino arrivare secondo ma alla fine non ha raggiunto neppure la doppia cifra.
Che indicazioni sono arrivate dal discorso della vittoria di Renzi?
Renzi, a mio avviso, è già sincronizzato sul fatto che tra un mese ci saranno le elezioni. E quindi la necessità di attivare il partito dal basso – che ha sottolineato nel suo discorso – in vista delle amministrative. Qualsiasi leader politico in questo momento ha in testa questa scadenza prima di tutto.
L’ex premier, invece, non ha parlato espressamente di legge elettorale: questa vittoria cambierà qualcosa? Verso che modello cercherà di andare?
Da qui a giugno ci sono solo le elezioni amministrative. Non c’è la legge elettorale.
E’ un discorso che verrà avviato seriamente solo a luglio?
Non è un discorso così imminente, anche perché per farla occorre l’accordo di qualche altra forza politica. Che, al momento, non c’è.
Pensa, quindi, che la legislatura sia destinata ad allungarsi? Maurizio Martina, vicesegretario in pectore del Pd e ministro dell’Agricoltura, ieri sera ha parlato di prospettiva al 2018.
Al momento mi pare che lo scenario più probabile sia questo: se avessero voluto imporre tempi più rapidi, avrebbero ad esempio costruito il Documento di Economia e Finanza in modo molto diverso. Da qui ad ottobre – quando si discuterà la legge di bilancio per il 2018 – non mi pare ci siano appuntamenti parlamentari tali da far cadere un governo.
Ma il problema, secondo molti, sarebbe rappresentato proprio dalla legge di bilancio, da varare sotto la scure di Bruxelles.
Ma i tempi a questo punto sono stretti: immagino che si discuterà e poi si voterà la legge di bilancio, per poi andare al voto nel 2018. Se a gennaio, a febbraio o a marzo direi che cambia poco.
Se dovesse scommettere, lei punterebbe sul voto a scadenza naturale della legislatura o comunque nel 2018. Giusto?
Direi di sì. In ogni caso anche questo è un problema che sarà discusso pienamente solo dopo il voto di giugno. Oggi è ufficialmente iniziata la campagna elettorale per le prossime amministrative.
In molti stanno dicendo, però, che Renzi più forte voglia dire governo Gentiloni più debole, per via della supposta volontà dell’ex premier di forzare per avere elezioni anticipate. Non è d’accordo, immagino.
Non sono d’accordo anche perché il calendario politico mi sembra già fatto: elezioni amministrative a giugno, legge di bilancio in autunno e poi politiche nei primi mesi dell’anno nuovo.
Ma Renzi cercherà di far sentire di più il suo peso sul governo? Chiederà di sostituire o ridimensionare figure come i ministri tecnici Pier Carlo Padoan o Carlo Calenda?
I provvedimenti economici – il Def e la manovrina – ci sono già stati. Non vedo su quali altri interventi normativi possa configurarsi uno scontro così duro da portare a una rottura del genere.
C’è però anche il tema Alitalia a proposito del quale Renzi e Calenda hanno idee molto diverse.
Sì ma troveranno un punto di equilibrio. Non mi sembra che nessuno abbia in questo momento l’intento di strappare. Non sarebbe molto comprensibile a mio avviso.
Tornando in chiusura alla legge elettorale: pensa che si farà o che alla fine si andrà al voto con l’attuale sistema?
Innanzitutto c’è il rischio di peggiorarla viste le spinte proporzionalistiche presenti in Parlamento soprattutto da parte dei piccoli partiti. Allo stato attuale, comunque, direi che non sarà certo facile trovare un punto di equilibrio tra le forze politiche. Il Pd è interessato a una legge più maggioritaria, il centrodestra come coalizione non esiste – e, quindi, è portatore di visioni e interessi diversi -, mentre il MoVimento 5 Stelle ha dimostrato di voler guadagnare voti sulla base del fatto che le cose non si facciano o si facciano male, per cui escludo voglia accordarsi. Al momento, dunque, non c’è alcuna convergenza. La responsabilità però non è del Pd che rappresenta solo uno dei tre attori dello scenario politico.
Ma Renzi quale proposta avanzerà secondo lei?
Al di là delle tecniche, è sempre stato favorevole a sistemi maggioritari che consentano ai cittadini di scegliere il più possibile il governo. Ma ripeto che gli altri non sono d’accordo. Da questo punto di vista il risultato delle primarie non cambia questo dato della realtà.
Non esiste qualche margine di trattativa con il M5s che, al pari del Pd, potrebbe essere favorevole a una correzione maggioritaria per giocarsi la chance di andare al governo da solo?
Se il M5s appoggiasse la proposta avanzata da Luigi Di Maio di un premio al 35%, allora, certo, l’accordo con il Pd si potrebbe chiudere. D’altronde questi due partiti – i principali del nostro Paese – dovrebbero avere, almeno in teoria, lo stesso interesse al maggioritario per cercare di vincere e di governare. Sarebbe una soluzione al rialzo molto positiva ma è impossibile essere sicuri che il M5s tenga questa linea senza cambiarla come ha già fatto in numerosissime occasioni.
In conclusione, ritiene auspicabile che questo accordo sulla legge elettorale si faccia?
Certamente sarebbe un bene per il Paese. Il Pd non ha problemi in questo senso ma il M5s è più probabile che decida di fare un ragionamento completamente diverso e politicamente molto più cinico.