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Che cosa dice la Corea del Nord su Cia e Kim

L’agenzia di stampa nordcoreana Korean Central News Agency (Kcna), considerata una media di propaganda del regime, ha diffuso oggi la notizia secondo cui la Cia avrebbe orchestrato un piano per uccidere il presidente Kim Jong-un, avvalendosi della collaborazione dei servizi segreti della Corea del Sud e di un infiltrato di origini nordcoreane corrotto dalla Cia stessa mentre lavorava in una ditta di legname in Russia nel 2014 (lo chiamano “Kim, la feccia umana”, ma non è chiaro se sia il suo vero nome, e secondo il colorito media outlet della satrapia avrebbe ricevuto diversi pagamenti per finanziare la missione).

IL PIANO

L’idea di infiltrare qualcuno con l’idea di uccidere il dittatore ha un sapore da film e forse poca fantasia: è per esempio il topos attorno a cui è costruita la trama di “The Interview”, il film che suscitò la reazione agguerrita del Nord nel 2014, con conseguente attacco hacker contro la Sony, parent company della Columbia Picture che lo aveva distribuito, e che parla proprio di un piano per assassinare Kim. Modalità non diverse, tra l’altro: per i nordcoreani l’assassinio pensato dalle due intelligence alleate, “covo dei mali del mondo” le ha chiamate il ministro della Sicurezza che ha svelato il piano, doveva essere compiuto con un’arma biochimica e colpire il Leader Supremo (nel pezzo di Kcna non viene mai chiamato col suo nome) durante una delle rituali visite al mausoleo dove il padre e il nonno sono sepolti, oppure durante una parata militare. Gli effetti, dicono, si sarebbero visti solo dopo diversi mesi. Un attacco biochimico è uno scenario nemmeno troppo d’avanguardia – lo stesso fratellastro è stato ucciso in Malesia avvelenato col VX, un’arma chimica, nella sala attesa dell’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur. Introdurre una tossina letale sul corpo di Kim è un’azione comunque ad alto rischio, quasi suicida, mentre le rivelazioni fornite dal dossier Vault 7, documenti riservati della Cia diffusi da WikiLeaks, hanno mostrato che la Cia ha studiato dei metodi per assassinare i nemici agendo a distanza con attacchi cyber sui sistemi elettronici dei loro veicoli: una via più funzionale e meno rischiosa, ipotizza il Guardian, magari anche sulla scorta delle informazioni a proposito dei possibili hackeraggi americani che potrebbero aver fatto fallire gli ultimi due test missilistici nordocoreani.

LA CIA TACE

Pyongyang fa sapere che comunque il piano è stato sventato, e il leader è al sicuro. Ovviamente Washington non ha risposto a questo accuse (anche fosse vero, chiaro che il piano sarebbe segretissimo e continuamente smentito). Notizie del genere, comunque, escono periodicamente da Pyongyang con fare aggressivo nei confronti dei paesi “ideologicamente corrotti” (come Kcna chiama i servizi segreti che sarebbe coinvolti nel piano per decapitare il regime), ma spesso si tratta di costruzioni narrative attorno a piani minori, a volte orchestrati da qualche oppositore interno, di solito nell’ambito militare – inutile dire che ai cospiratori poi tocchi una sorte crudele con esecuzioni anche bizzarre.

IL MOMENTO

Ora però la notizia arriva in un momento delicato, in cui la crisi costante che il programma atomico militare di Pyongyang rappresenta, si è trasformata una realtà impellente in cima all’agenda di politica estera dell’amministrazione Trump, con coinvolgimento di vari attori regionali: uno su tutti la Cina, che Washington sta tirando dentro alla situazione per avviare un canale quanto più simile a un rapporto collaborativo (l’ottica reale è la guerra economica tra le due più grandi economie del mondo). Proprio giovedì la Camera del Congresso americano ha votato a favore (419 a 1) di un disegno di legge per inasprire le sanzioni contro il Nord (nota: non piacciano alla Cina, perché sono unilaterali, mentre Pechino vorrebbe un piano adottato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu). La linea della diplomazia dura è quella che per il momento ha battuto l’azione militare preemptive spesso tirata in ballo le scorse settimane.

NIENTE SI PUÒ ESCLUDERE: SEGNALI

Niente si può escludere i questo momento. Tra le operazioni di deterrenza messe in piedi dagli Stati Uniti per scongiurare nuovi test (a proposito, un vettore missilistico potrebbe essere lanciato a giorni dal poligono di Sunpo, ma i movimenti osservati dai satelliti potrebbero essere ancora pura propaganda, mentre il capo del comando americano nel Pacifico, Harry Harris, ha detto che ormai è questione di “quando, non di se” verrà fatto un nuovo test atomico), c’è anche l’invio, per esercitazioni, in Corea del Sud di un gruppo di incursori speciali. Si tratta del Devgru, i cosiddetti Team Six dei Navy Seals, quelli che uccisero in territorio ostile il nemico pubblico numero uno dell’America, Osama Bin Laden – le cui spoglie tra l’altro furono riconsegnate al mare dal ponte della portaerei “USS Vinson”, che dopo varie traversie, ha alzato rotta verso il Nord. Per concludere l’impalcatura colorita intorno a Kim, una settimana fa quando il sommergibile nucleare “Michigan”, il più potente della flotta americana, è emerso al porto sudcoreano di Busan, era ben visibile il deck per le incursioni delle forze speciali (di cui a bordo ce n’erano 60 unità, faceva sapere la stampa di Seul imbeccata dalla US Navy).

IL QUADRO PERFETTO

Ciliegine sulla torta: il direttore della Cia Mike Pompeo era in Corea del Sud la scorsa settimana. Più: in quegli stessi giorni il governatore dell’Ohio John Kasich diceva alla CNN che il modo migliore per risolvere la faccenda era “eliminare il leader” e Cory Gardner, Presidente della Sottocommissione per l’Est asiatico del Foreign Relations Committee del Senato, diceva che gli Stati Uniti dovrebbero già iniziare a lavorare con Giappone, Corea del Sud e Cina a un piano per il dopo Kim. Un quadro perfetto per spingere la narrativa del regime contro l’Occidente ostile che vuole decapitarlo.

 

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