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Il miracolo europeo

Oggi, 9 maggio, si celebra la festa dell’Europa. Anche il compleanno di mia figlia (“Auguri, Elena!”); ma di solito, per lei, le celebrazioni sono un po’ meno solenni…

La domanda è: quale Europa dobbiamo festeggiare? O meglio, che cosa esattamente è rimasto da festeggiare dell’Europa che abbiamo oggi? E cosa dobbiamo apprestarci a fare, per completare quello che di Europa ancora manca?

Motivi per festeggiare ce ne sono. L’integrazione europea rappresenta l’unica speranza concreta di mostrare al mondo che una convivenza civile non basata sul potere assoluto degli Stati nazione è possibile, anche laddove quegli Stati hanno consolidato con secoli di esistenza e di politiche di potenza il proprio rapporto di lealtà esclusiva ed assoluta nei confronti dei “propri” cittadini-sudditi, come è avvenuto appunto in Europa.

In questa logica tutto il percorso di condivisione della sovranità finora compiuto è un traguardo raggiunto. L’Europa di Schengen, quella del mercato unico, l’Europa dell’euro, che nonostante le sciocchezze sempre più diffuse sulle sue colpe è la più colossale scommessa mai tentata nella storia dell’uomo e che solo a causa del mancato completamento del disegno europeo complessivo attorno ad esso crea distorsioni che rischiano di allontanare, piuttosto che unire, i popoli europei.

L’Europa che finalmente, dopo decenni, si decide a vietare i costi del roaming per consentire a tutti di effettuare un accesso ad internet o una telefonata senza subire costi proibitivi; che difende i diritti di chi si sposta dentro ai suoi confini differenziandoli da quelli degli altri. Insomma, l’Europa che fa sentire ai propri cittadini di essere membri di una collettività più ampia di quella nazionale, che ne tutela in prima persona gli interessi, anche contro gli interessi degli Stati nazionali (o di chi si appropria del potere degli Stati nazionali per difendere i propri interessi).

Questo è quello che dobbiamo salvare, e festeggiare, dell’Europa: la condivisione della sovranità (ossia l’esercizio collettivo delle scelte) fra cittadini indipendentemente dalle appartenenze amministrative statali, che sono semplici accidenti della storia (o il risultato di compromessi diplomatici).

Eppure, oggi, proprio questo senso dell’integrazione europea si è perso, o rischia di perdersi. Smarrito dietro ai Vertici intergovernativi per raggiungere inutili consensi unanimi, quindi sul nulla. Nascosto dietro irriducibili interessi elettorali delle elites al potere, che se ne infischiano dei propri cittadini e dei loro bisogni, che sono per la maggior parte condivisi, indipendentemente dalle appartenenze statali. È l’Europa degli interessi particolari, che cercano la sponda dei governi nazionali col loro potere di veto sulle decisioni collettive per difendere le proprie posizione di rendita. L’Europa del “non c’è alternativa all’austerità”; e invece c’è eccome: basterebbe trasferire al bilancio europeo le risorse per effettuare investimenti, innovazione, ricerca. L’Europa che sceglie muri e barricate per affrontare le sfide dell’immigrazione e della sicurezza. Questa è l’Europa che non solo non dobbiamo festeggiare; ma che dobbiamo denunciare come uno dei più pericolosi assalti alla democrazia, al benessere presente e futuro dei cittadini, al mantenimento della pace nel Vecchio Continente.

Festeggiamo quindi l’idea di Europa, quella originariamente sperata dai suoi padri fondatori, che avevano alle spalle lo spettro delle guerre civili (le due guerre mondiali) e che avevano capito che solo tramite la condivisione di sovranità, la scissione fra lo Stato nazione e la possibilità di esercitare i diritti democratici di scelta collettiva dei cittadini, poteva essere frantumato, polverizzato il pericolo di conflitti armati. Quella della dichiarazione Schuman che venne pronunciata il 9 maggio del 1950 e che oggi celebriamo, in cui si indicava la strada verso una federazione europea.

E denunciamo invece l’Europa per quello che è diventata. Per essersi allontanata da quel modello, per aver tradito i padri fondatori e mezzo miliardo di cittadini europei. Per aver rinnegato lo spirito democratico in onore della difesa del potere delle caste nazionali.

Oggi, più che mai, l’Europa ha urgenza di tornare ad essere quello che doveva essere già settant’anni fa: un grande esperimento di costruzione di una democrazia multilivello, nel quale gli Stati-nazione sono solo uno dei tanti livelli di scelta collettiva, di confronto politico, di vita sociale.

Perché questo accada, probabilmente, serve un miracolo. Ma io, ai miracoli, ho deciso di crederci; e soprattutto ho deciso di fare, nel mio piccolo, tutto quanto è possibile perché si realizzino.

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