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Care donne, evviva la sentenza della Corte di Cassazione sull’assegno dopo il divorzio

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Mai avrei pensato che la Corte di Cassazione potesse essere, probabilmente a sua insaputa, tanto moderna e femminista. Qualcuno, nel leggere queste righe cadrà dalla sedia. La maggior parte degli uomini continuerà a brindare a champagne, non avendo ancora capito che la decisione della Corte, sul lungo termine, produrrà un prezzo da pagare anche per loro. Altri, dopo aver letto quello che sto per scrivere, penseranno che io debba andare da uno bravo, dove per uno bravo si intende lo psichiatra.

La Cassazione ha deciso che il mantenimento in sede di divorzio non va riconosciuto a chi è indipendente economicamente e che, in caso contrario, a prevalere non conterà più il tenore di vita, ma l’autosufficienza. La decisione della Cassazione vale solo per la causa in essere, quindi la battaglia legale dell’ex Ministro Vittorio Grilli, ma è talmente epocale che verrà citata nella quasi totalità delle cause di separazione da qui all’eternità, soprattutto ovviamente quando è l’uomo a rischiare di essere spennato o, nel caso di patrimonio particolarmente consistente, essere messo sullo spiedo.

Eppure, care donne, lo so che non è facile da capire immediatamente, ma questa sentenza voi la dovreste benedire, perché dona, paradossalmente, al gentil sesso la possibilità di essere artefici del proprio destino e di contro fa perdere agli uomini l’unico capitolo in cui riuscivano ancora a far valere la propria autorità: quello economico. I risultati si vedranno sul lungo tempo e perché vengano implementati c’è bisogno di strumenti ben diversi da quelli messi a disposizione della Corte di Cassazione oltre che un cambio radicale di mentalità per il quale ci vorranno decenni.

Nella sentenza si è letto che il matrimonio è “atto di libertà e autoresponsabilità”. Per il rispetto che porto nei confronti di questo istituto e, da cattolica, di questo sacramento, non posso fare altro che condividere. In estrema sintesi, vuole dire, “il fatto che tu sposi uno ricco, questo non vuole dire che ti debba mantenere come una regina fino alla fine dei tuoi giorni, perché tu hai deciso di fare solo figli o perché tu non hai mai lavorato in vita tua”. Quindi, eterno amore sì, ma non con il cappello appeso, da nessuna delle due parti.

Iniziamo quindi con il ringraziare i giudici, perché un domani se non dovremo sentire più l’irritante frase “quella si è sistemata” sarà in parte merito loro.

Ma li dobbiamo ringraziare ancora di più perché con questa sentenza hanno messo in chiaro un cosa che forse, in Italia, ancora oggi, sfugge a troppe: ognuna è artefice del proprio destino. Ed essere sposate, anche con il buon marito, non può e non deve rappresentare un freno a quelle che sono le proprie e legittime aspirazioni personali, soprattutto se supportate a curriculum studiorum e trascorsi professionali che le sostengano.

Da cattolica, penso ci si sposi nella buona e nella cattiva sorte. Dove però fino a questo momento quella di uno sembrava prevalere su quella dell’altra e che invece adesso va obbligatoriamente moltiplicato per due. Io credo che la sentenza della Corte porti in sé la possibilità di un grande equilibrio e reale emancipazione per tutte quelle che, in una relazione stabilizzata, devono fare delle rinunce. Quella che sembra una privazione alle donne, in realtà pone le basi per un rapporto autenticamente fondato sulla pari opportunità. Dove da una parte ci sono spose che non si accontentano più di fare le mantenute o le professioniste a mezzo servizio e dall’altra uomini che si lamentano tanto di avere una compagna che per loro ha smesso di lavorare/che si dedica troppo alla famiglia, ma che poi, davanti a una donna/professionista/sposa/mamma, scapperebbe più veloce di Ben Johnson dopato. Magari nelle braccia di una molto meno impegnativa (e ricattabile anche solo a livello psicologico), con la diversa possibilità economica.

Da oggi non dovrete più pagare per lasciarci, ma accettare sfide a priori che per voi potrebbero essere molto, ma molto più impegnative. Perché per gli alimenti basta un assegno e la disponibilità economica sul conto corrente. Per una relazione alla pari ci vuole molto di più.

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