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Che cosa cela la baruffa tra M5S e Pd su rifiuti e Banca Etruria

Quello tra il Pd e il MoVimento 5 Stelle sarà pure uno scambio sotto la cintura, ma rimane pur sempre uno scambio. Da un lato le accuse contro Maria Elena Boschi, dopo il libro di Ferruccio De Bortoli; dall’altro quelle contro Virginia Raggi, per lo stato pietoso in cui versano le condizioni igienico – sanitarie della Capitale. Ormai sulle pagine dei principali quotidiani internazionali, con tanto di fotografie che fanno vedere il cumulo di rifiuti all’ombra del Colosseo.

Una volta non era così. Il segretario della Dc non inseguiva il sindaco comunista di una grande città. Non organizzava marce dei suoi militanti, muniti di scope e ramazza. Per far cosa, poi? Alle continue ed inevitabili critiche del principale partito d’opposizione rispondeva con i fatti. Con un’azione di governo che, da sola seppur con mille contraddizioni, valeva più di mille parole. Costringendo tutti a misurarsi con la difficile arte del rispondere alle attese dei cittadini, dopo aver precluso ogni possibile via di fuga verso l’irrazionalità di proposte alternative.
Che senso ha dire che nel 2021 il problema dei rifiuti a Roma sarà risolto dalla raccolta differenziale? Non ci arriveremo mai a quella data. Prima di allora la Capitale d’Italia si sarà trasformata nella Calcutta dell’800. Senza nulla togliere alle grandi tradizioni religiose di quel popolo che ha permesso di sviluppare gli anticorpi necessari per resistere alle crisi epidemiche di un rapporto simbiotico con il mondo animale. A Roma, invece, sarà solo lordume che, in assenza di una vera proposta effettiva, ne intaserà le strade e le piazze. Determinando una vera e propria emergenza sanitaria.

Per contro le polemiche del Pd contro i pentastellati, a proposito della Boschi, appaiono decisamente sopra le righe. Più strumentali ai fini di una campagna elettorale cominciata con grande anticipo, che non rispondenti alla realtà dei fatti. Che Grillo abbia in qualche modo amplificato la portata dell’episodio è evidente. Fa parte della normale schermaglia politica. Ma non è stato certo lui a sollevare il problema. A monte di tutto c’è il libro di Ferruccio De Bortoli. Libro che andrebbe letto, prima di usarlo come una clava. Evitando forzature interpretative che rischiano, a distanza di pochi giorni, di trasformarsi in un boomerang per gli apprendisti stregoni della polemica ad ogni costo.

Questa doppia vicenda, così speculare, ha un senso, se mai lo ha, solo all’interno di un contesto malato di bipolarismo. Dove i due dei principali protagonisti non competono con ricette alternative per il bene del Paese. Ma si combattono alimentando il voto “contro”. Contro il partito della Boschi, da un lato. Contro il movimento di Grillo, dall’altro. Ma alla fine le due opposte proposte finiscono per elidersi. E neutralizzarsi vicendevolmente. Se il centro destra non fosse così diviso su opzioni fondamentali che riguardano la collocazione internazionale dell’Italia – una delle principali discriminanti della nostra storia nazionale – approfittarne sarebbe un gioco da ragazzi.

Ma questo è il terzo corno del dilemma. L’opzione sovranista, destituita com’è di qualsiasi senso storico, impedisce la quadratura del cerchio. E contribuisce a gettare il Paese in una confusione sempre più preoccupante. Seppure per motivi diversi l’Italia è ormai affetta da un fenomeno di bradisismo politico che l’allontana sempre più dall’Europa. Un Europa che, dopo le elezioni olandesi, francesi e tedesche, è destinata a riorganizzarsi su basi diverse del passato, avendo definitivamente archiviato i postumi della crisi del 2008. “Una delle più grave crisi della storia”, per riprendere le parole di Mario Draghi all’indomani del fallimento della Lehman Brothers.

Sembra quasi che l’Italia non riesca ad uscire da quell’anomalia che ne ha caratterizzato la storia più recente. Allora c’era la forza del Partito comunista – il più grande di tutto l’Occidente – a testimoniare una sua diversità quasi antropologica. Con quel diaframma nei confronti dell’Europa che, ancora oggi, in qualche modo si ripropone. Un diaframma, come allora, non solo politico, ma con una base di carattere strutturale. Fondata sulle debolezze del suo capitalismo. Quella difficoltà a trovare un ragionevole compromesso, tra le forze in campo, oggi ha le stesse caratteristiche. Riflette il perdurare di una crisi, che altri hanno superato. Mentre l’Italia, insieme ad una piccola pattuglia di altri Paesi, ne è ancora soggetta.

Come in Francia sarebbe, allora, necessario un gran reset. Ipotesi improbabile. E quindi non resta che sperare nella forza dei meccanismi della rappresentanza. Che lo scettro torni nelle mani del popolo, responsabile del proprio destino. Scelga liberamente i propri rappresentanti. Ma senza le manipolazioni di una legge elettorale costruita solo per puntellare un vecchio establishment che, purtroppo, persevera nell’errore.

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