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Perché sui mercati c’è il rischio Italia. Parola di Codogno (ex capo economista Mef)

C’è un problema strutturale che caratterizza, in negativo, l’economia italiana: un problema spesso sottaciuto ma che, prima o poi, potrebbe presentare il conto al nostro Paese. Di che si tratta? Si riferisce al debito pubblico ma non tanto, o non solo, al suo ammontare, bensì soprattutto ai soggetti che lo detengono. Un aspetto sottolineato da Lorenzo Codogno – capo economista del Tesoro dal 2006 al 2015 – che ieri ha partecipato insieme a numerosi altri esperti alla riunione del cosiddetto “Gruppo dei 20”, il comitato creato dal presidente della Fondazione Economia dell’Università di Tor Vergata Luigi Paganetto per discutere e approfondire le principali questioni di politica economica a livello nazionale e internazionale.

Preoccupa che gli esteri stiano investendo sempre di meno nel nostro debito pubblico“, ha sottolineato Codogno. Un fenomeno al quale, in questa fase di tassi ai minimi per via del Quantitative Easing di Mario Draghi, è da sommare anche una forte contrazione dei buoni del Tesoro acquistati dagli italiani: “Anche le famiglie stanno abbandonando i titoli di Stato – che non rendono più – per scegliere sempre più spesso i fondi comuni d’investimento. I quali – com’è ovvio che sia – diversificano i loro investimenti“.

In pratica, i risparmi degli italiani sempre più spesso prendono la via dell’estero da dove, peraltro, non stanno più giungendo sufficienti capitali. Una situazione finora nascosta grazie all’allentamento monetario di Francoforte e dunque dagli acquisti di bond governativi da parte della Banca Centrale Europea che, però, finirà a breve. Cosa succederà in quel momento? Chi acquisterà i bond del nostro Paese permettendogli di rifinanziarsi sul mercato quando cesserà il programma speciale di acquisto di Francoforte? “Superato il rischio Francia, ora l’attenzione si sta spostando verso di noi“, ha osservato Codogno, che ha parlato di “investitori internazionali nervosi” rispetto all’Italia, al momento poco convinti di tornare a comprare abbondantemente i nostri titoli di Stato.

A preoccupare in questo senso – ha rilevato ancora l’ex capo economista del Mef – è pure la situazione politica visto che “le prossime elezioni probabilmente non faranno emergere maggioranze solide e chiare” in grado di garantire un governo stabile e coeso che si renda motore delle necessarie e improcrastinabili riforme. Il rischio, dunque, è che, mentre i partiti continuano a discettare in politichese di legge elettorale e alleanze, l’Italia torni ad essere percepita dagli investitori come un Paese a rischio. Anche perché – ha evidenziato ancora lo stesso Codogno – non è che le difficoltà di sistema si fermino qui.

Sempre a proposito di debito pubblico, “c’è un problema di sostenibilità complessiva” che doveva essere affrontato “non con tagli indiscriminati“, ma con una sua ristrutturazione e “con una più decisa riconversione della spesa pubblica“. Ma poi c’è anche dell’altro, ovviamente, a cominciare da una crescita che non decolla. Quest’anno si attesterà all’1,1%, mentre nel 2018 all’1% e nel 2019 e 2020 ancora all’1,1%. Meno della media europea – nonostante il ciclo economico positivo – per via di una serie di fondamentali, il primo dei quali è l’indebitamento netto che l’anno prossimo dovrà ridursi all’1,3% del Pil dall’attuale 1,3%. Un risultato da raggiungere o attraverso l’aumento dell’Iva oppure con qualche altra misura alternativa. A incidere sulla scarsa crescita economica contribuiscono anche altri fattori, ha fatto presente Codogno: “Senza crescita demografica è difficile ottenere una buona crescita economica“.

D’altro canto – ha messo ancora in evidenza l’ex capo economista del Mef – “la produttività non sta recuperando“, mentre la crisi creditizia continua a farsi sentire sulla pelle delle imprese: “Il credito all’economia reale non cresce più“. Colpa anche della difficoltà con cui sono costrette a fare i conti in questa fase le banche italiane, alle prese con i crediti deteriorati. In questo senso Codogno non ha risparmiato un affondo ai precedenti governi (Monti?), pur non nominandoli mai. Lo ha fatto con il paragone tra il comportamento italiano e quello tenuto invece da alcuni dei principali Paesi europei, tra cui la Germania, che – all’esplodere della crisi economica nel Vecchio Continente – sono immediatamente andate in soccorso degli istituti di credito: “Hanno messo subito soldi nel sistema bancario e, in questo modo, hanno evitato ulteriori problemi“. Una scelta diversa da quella dell’Italia che ha pensato di potersela cavare senza esporsi salvo poi trovarsi tra le mani prima la crisi delle quattro banche popolari e poi quella del Monte dei Paschi di Siena: “Fino al 2015 non abbiamo investito nulla e le conseguenze sono queste“.

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