Nelle prime ore di domenica mattina (ora locale) la Corea del Nord ha testato un missile che ha volato circa 700 chilometri per poi atterrare nel Mar del Giappone. Associated Press scrive che potrebbe trattarsi di “una possibile risposta alle elezioni sudcoreane di quattro giorni fa”, e più che altro ai “war game” americani, giapponesi ed europei nel Pacifico.
PERCHÉ È IMPORTANTE
Vale la pena ricordare che ogni test militari di questo genere è una aperta violazione a una risoluzione ONU, che li ha vietati a Pyongyang perché considerati ognuno un passo verso la costruzione di vettori intercontinentali che potenzialmente potrebbero essere armati con una testata atomica. Va da sé che questi test possono portarsi dietro il rischio di una rappresaglia armata americana che potrebbe innescare una seri di eventi incontrollabile – Washington ha già detto che “non accetterà” il test di un missile balistico intercontinentale senza conseguenze.
I DETTAGLI (POCHI) SUL MISSILE
Il governo giapponese ha detto che il missile è caduto a 400 chilometri dalle proprie coste, lo Stato maggiore della Corea del Sud ha confermato il lancio, con pochi particolari. Il comunicato dice che il missile è stato lanciato dalla città di Kusong, nella provincia di Phyongan, e che i soldati sudcoreani e i militari statunitensi stanno analizzando i dettagli. Capire la tipologia del vettore è parte di un’analisi con lo scopi di verificare come procedono quei processi tecnologici del Nord. (La domanda di fondo americana è: Kim Jong-un ha effettivamente in mano missili transoceanici che possono colpirci?). A quanto pare potrebbe trattarsi di un test riuscito – a differenza degli ultimi due – di un nuovo armamento, dato che dalle prime stime la traiettoria sarebbe stata alzata a campanile per evitare atterraggi troppo distanti: differentemente i circa 700 chilometri percorsi sarebbero stati sei, sette volte tanti. PaCom, il comando americano del Pacifico, però non ha ancora definito il missile lanciato un ICBM, ossia un missile balistico intercontinentale.
LA LINEA DI WASHINGTON
L’amministrazione Trump non ha una linea costruita su Pyongyang. Fino a qualche settimana fa sembrava sul punto lanciare un attacco che anticipasse le mosse del Nord. Poi ha cambiato postura, scelto la via diplomatica dura, fino a evocare una più morbida possibilità di incontri diretti che addirittura potrebbero coinvolgere addirittura il presidente (“Ne sarei onorato”, ma servono “le giuste condizioni” aveva detto Donald Trump a proposito di un eventuale incontro). Sabato il ministero degli Esteri nordcoreano aveva indirettamente risposto alle parole di Trump con una specie di apertura, con “le giuste condizioni” diceva un commento, canali ufficiali di dialogo potrebbero partire: poi, comunque, il test. Contatti informali di tipo “Track 2”, tra delegati del settore civile americano e funzionari nordcoreani si sono riavviati questa settimana a Oslo, sullo stampo di altri simili dello scorso anno – inefficaci.
LO STATEMENT DELLA CASA BIANCA
Nelle ore successive al test di domenica mattina, la Casa Bianca ha diffuso uno statement condannando con preoccupazione l’accaduto e inserendo un passaggio apparentemente strano sulla Russia. “Il presidente immagina che la Russia non sia contenta” di quanto accaduto, visto che l’impatto del missile è tanto vicino alla Russia quanto al Giappone. Sembra è un tentativo per coinvolgere anche Mosca, in via ufficiale, nel Grand Bargain del dossier per il contenimento della minaccia nordcoreana.
LA SPONDA SUD
Su una linea di qualche possibile apertura si è posto anche il neo-eletto presidente sudcoreano, Moon Jae-in, che ha anche lui parlato di contatti diretti, e promette di favorire un approccio molto più morbido rispetto al suo predecessore conservatore, Park Geun-hye (che è in carcere in attesa di un processo di corruzione). Moon potrebbe adottare qualcosa di simile alla più aperte e collaborative “politiche del Sole” degli anni Novanta, ma questo genere di approccio liberale — che può anche essere d’impatto, riconsiderando la dura linea conservatrice, tenuta nell’ultimo decennio senza grandi successi — si scontra con l’attuale militarizzazione spinta da Kim.
LE MOSSE CINESI
“La Corea del Nord ha bisogno di prove per perfezionare il suo programma missilistico, ma è si può pensare che abbia deciso di mettere in scena i suoi ripetuti lanci dopo le elezioni dei nuovi presidenti americani e sudcoreani nel tentativo di misurare la reazione di una nuova amministrazione”, spiega AP. Oggi a Pechino si inaugura anche il programma multilaterali OBOR, la cosiddetta “Nuova Via della Seta”, il percorso commerciale con cui la Cina intende mettere le mani sull’Eurasia. Presenti funzionari governativi americani (nell’ambito di un deal preliminare tra Pechino e Washington), invitati anche i nordcoreani; l’invito al Nord è un tentativo di Pechino, già immersa nel dossier nucleare di Kim, per portare Pyongyang a un tavolo diplomatico pulito, liberarla dall’isolamento e ottenere una linea diversa, pragmatica, sulla bega atomica. Sotto quest’ottica il governo cinese sembra che abbia intensificato i propri contatti con elementi interni al regime con visioni meno agguerrite di Kim.
Antinio Talia, giornalista esperto di politica asiatica, ricorda che Pyongyang “ha adottato spesso la strategia di mostrarsi aggressiva prima di riaprire un dialogo, e la tempistica tra l’elezione di Moon (più aperto di Park Geun-hye, la presidente precedente travolta dagli scandali) e il lancio di questo missile va letta in questa chiave”.