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Donald Trump ha spifferato alla Russia informazioni segretissime di Intelligence su Isis (secondo il Washington Post)

Rijabkov

Lunedì, alle 5 e 02 pomeridiane (ora di Washington), il Washington Post ha rotto di nuovo le news, e probabilmente incrinato ancora il delicato sistema interno dell’amministrazione Trump. Il WaPo ha ottenuto informazioni sull’incontro che Donald Trump ha avuto con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e con l’ambasciatore di Mosca negli Stati Uniti Sergei Kislyak, la scorsa settimana: in quell’occasione il presidente americano avrebbe rivelato segreti di intelligence altamente classificati ai russi.

L’INCONTRO ANOMALO

La storia nel giro di 26 minuti ha battuto il record di visualizzazioni per secondo – precedentemente detenuto da un altro articolo dei WaPo, quello di David Fahrenthold che, nel pieno della campagna elettorale, raccontava i commenti luridi di Trump a proposito del ‘come conquistare una donna’, usciti da una registrazione di alcuni anni fa ottenuta dal giornalista. Quella registrazione era stata fatta di straforo, così come di straforo sono uscite le informazioni sull’incontro Trump-russi pubblicate lunedì, dato che il presidente aveva impedito a qualsiasi giornalista americano di presenziare al meeting, non aveva ragguagliato sui contenuti, e ha addirittura proibito anche le fotografie. Altre anomalie su quel faccia a faccia? All’interno dello Studio Ovale – in cui, anomalia per anomalia, di solito non vengono ricevuti ministri e ambasciatori, ma capi di Stato e di governo – Trump aveva ammesso solo un fotoreporter, credendo che fosse l’accompagnatore di Lavrov, invece lavorava per l’agenzia stampa statale russa Tass; da lì è seguita la rapida diffusione delle foto scattate, messe online dagli account istituzionali russi sui social network (pare che Washington sia rimasta abbastanza contrariata da questa diffusione). Altro aspetto strambo di quell’incontro: era presente Kislyak, che è l’uomo chiave del processo sulle possibili collusioni tra membri della campagna Trump e il piano russo per interferire durante le presidenziali (mentire su contatti avuti con Kislyak è costato il posto all’ex capo del Consiglio di Sicurezza nazionale Michael Flynn e ha costretto il segretario alla Giustizia Jeff Sessions a ricusare sull’indagine).

LE INFORMAZIONI CODE-WORD

L’articolo uscito lunedì però rivela la stranezza più enorme di tutte: Trump, parlando con i due alti funzionari del governo russo, avrebbe rivelato informazioni su un potenziale piano dello Stato islamico per compiere attentati attraverso bombe inserite nei lap-top. Che i computer portatili esplosivi siano ormai diventati una delle opzioni che il controterrorismo studia, soprattutto perché potrebbero essere usati all’interno della cabina di un volo di linea, è noto; altrettanto pacifico è che il presidente è l’unico a poter decidere cosa desecretare tra i rapporti di intelligence (fosse stato un altro funzionario a farlo sarebbe stato arrestato per tradimento). Però Trump pare abbia rivelato la città della Siria in cui si sta studiando il piano, raccontando anche che le informazioni erano arrivate a Washington attraverso un servizio segreto di un paese alleato. Questi sono dati sensibili, al punto che i funzionari che ne hanno parlato li hanno definiti “code-word” (il livello massimo di segretezza, quello che richiede una parola d’ordine per poterne parlare): Trump li ha spifferati senza prima avvertire le intelligence e nemmeno l’alleato che glieli aveva forniti. Per di più l’ha raccontati ai russi, che sono al centro di quell’inchiesta dalla proporzioni mastodontiche, e sono un paese che in Siria combatte una guerra diversa da quella sostenuta da Washington contro lo Stato islamico; Mosca è impegnata nel sostegno al regime, contro i ribelli non Isis (e tecnicamente è su un piano opposto rispetto a quello americano anche nel quadro del conflitto siriano).

QUANTO È CREDIBILE IL WAPO? (MOLTO)

Il fatto che l’articolo sia stato letto in quel modo tanto è sintomo che la delicatezza della situazione non è sfuggita agli americani (che invece sono spesso disattenti e annoiati dalla politica, ma l’amministrazione Trump già in questi primi mesi ha fatto in modo di riaccendere quest’interesse). La Casa Bianca si è sperticata in una smentita rapida quanto inefficace. Della bega se n’è occupato il capo del National Security Council HR McMaster; e questo è un altro segnale che la storia ha fondamenti di verità. In più è stata corroborata da altre fonti che hanno parlato in successione con New York Times, BuzzFeed (“È molto peggio di quel che sembra”, ha detto l’informatore), CNN, Reuters, Wall Street Journal.

LE SMENTITE DI MCMASTER NON REGGONO

McMaster ha letto un breve comunicato che vale la pena di citare completamente perché è pieno di artifici retorici che però non hanno funzionato (li chiamano “non-denial denial” in americano, lessicalmente “rifiutarsi di negare”): “Non c’è niente che il presidente prenda più sul serio della sicurezza del popolo americano. L’articolo pubblicato oggi, per quello che dice, è falso. Il presidente e il ministro degli Esteri russo hanno parlato di molte minacce ai nostri paesi, comprese minacce attraverso l’aviazione civile. In nessun momento – nessun momento – le fonti e i metodi dell’intelligence sono stati discussi. E il presidente non ha diffuso nessuna operazione militare che non fosse già pubblica. Due alti funzionari erano presenti, compreso il segretario di Stato: anche loro ricordano così e lo hanno detto. I loro resoconti pesano di più di quelli delle fonti anonime dei giornali. Io ero in quella stanza: non è successo”. Praticamente il Consigliere della Casa Bianca ha negato che Trump avesse passato informazioni a proposito delle fonti o dei metodi analizzati, di cui in realtà l’articolo del Washington Post non parla direttamente, ma non ha negato che il presidente ha passato l’informazione riservate ai russi.

IL GUAIO CON LE INTELLIGENCE

McMaster ha calcato su quel punto specifico probabilmente perché è quello più caro alle agenzie di servizi segreti: la diffusione dell’informazione – su cui il WaPo dice di aver più dettagli ma di non averli pubblicati su richiesta dell’intelligence e della Casa Bianca, in quanto sarebbero stati troppo sensibili – potrebbe aver esposto agli occhi russi i metodi di investigazione e spionaggio americani. In particolare, si pensa che l’informatore fosse un uomo dello Stato islamico, e rivelare la presenza di questo genere di talpe è un errore macroscopico perché espone pubblicamente la metodologia di azione americana. Che può essere compromessa, con le fonti che non tendono a non fidarsi più, con gli alleati che per la stessa ragione potrebbero diventare meno collaborativi, insomma con un sistema (rodato ormai) che rischia di essere scombussolato. È possibile per questo che la vicenda finisca sotto l’analisi di una commissione di inchiesta parlamentare, e del controspionaggio (curato dall’Fbi, che però è in una fase critica dopo che Trump ne ha licenziato il direttore, tra l’altro proprio il giorno prima dell’incontro con Lavrov e Kislyak).

LA TENSIONE NEL WEST WING

I giornalisti che coprono la Casa Bianca raccontano di una reazione scomposta degli uomini della West Wing. Per primo Trey Yingst di One America News Network, ha detto che nei minuti appena successivi all’uscita dello scoop c’è stata una riunione improvvisata in uno degli stretti uffici dell’ala esecutiva della Casa Bianca a cui hanno partecipato Steve Bannon (capo stratega), Mike Dubke (direttore delle comunicazioni), Sean Spicer (portavoce capo), Sarah Sanders (vice di Spicer). Erano scuri in volto, hanno chiuso la porta ma “noi – dice Yngist parlando di lui e degli altri corrispondenti presenti – potevamo sentirli urlare”, poi qualcuno ha alzato “super forte” il volume della televisione all’interno della stanza per soffocare le urla. Vox ha ripreso un commento volante di un irritatissimo McMaster: “È l’ultimo posto in cui vorrei essere adesso… Me ne sto andando”, ha detto un paio d’ore prima di leggere il comunicato.

LE DOMANDE

Ora le domande riguardano vari aspetti. Che tipo di credibilità può avere Trump nei confronti degli alleati se rivela informazioni segretissime condivise a un avversario senza avvisare il partner che gliele ha passate? E: che fiducia potranno avere ancora le intelligence e i militari nei confronti di Trump? Altro aspetto: che impatto può avere questo sugli elettori? I media trumpiani si sono già messi al lavoro per contenere la situazione, Breitbart News titola “Fake News!”, Drudge Report scrive “Altri leak cercano di diffamare il presidente”,  Sean Hannity, anchor man Fox tra i preferiti dal Prez, parla anche lui di “notizie false”. Altra questione, perché Trump ha rivelato quei segreti? Voleva vantarsi di quanto la sua intelligence lavorasse bene? È stata una leggerezza e non si è reso conto della sensibilità dell’informazione che stava diffondendo? O ancora, ma oggettivamente più difficile – ma enormità per enormità –, Trump ha parlato di certe cose, a porte chiuse, con i russi perché è colluso con Mosca?


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