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Come e perché Donald Trump sosterrà il piano saudita di una “Nato Araba”

Il columnist politico del Washington Post Josh Rogin ha ottenuto un’informazione importante sull’ormai prossimo viaggio internazionale del presidente Donald Trump. Venerdì decollerà per l’Arabia Saudita (inciso: nello spazio ristretto della cabina dell’Air Force One, durante il volo di 14 ore, potrebbero crescere le tensioni interne tra notabili dello staff, scrive Kevin Liptak della CNN, viste le ultime grosse vicende). Arrivato a Riad, secondo quanto appreso dal sempre informatissimo Rogin, il presidente americano darà sostegno formale al piano saudita che a Washington chiamano “Nato Araba”.

PERCHÉ È IMPORTANTE

L’idea saudita di costruire un’alleanza di sistema sull’impronta della Nato è in piedi da diversi anni, ed ha avuto il suo primo schema operativo quando il ministro della Difesa e vice principe ereditario Mohammed Bin Salman (anche MBS) ha annunciato pubblicamente la formazione di una colazione di 34 paesi mediorientali e nordafricani di cui l’Arabia Saudita s’è fatta capofila (qui la lista dei Paesi). Era il dicembre del 2015, e quello di MBS era lo sbocco finale di un processo in piedi da due anni, anche se formalmente quel raggruppamento militare aveva uno scopo preciso: combattere lo Stato islamico. Poi avrebbe combattuto gli Houthi, il gruppo ribelle yemenita che ha rovesciato il governo di Sanaa. Sullo sfondo le secolari dinamiche sunniti (tutti i paesi dell’alleanza sono a maggioranza sunnita) contro sciiti (con l’Iran, concorrente saudita regionale, che guida una sorta di internazionale che comprende Siria, Libano, e Iraq).

L’ENDORSEMENT DI TRUMP

Finora il piano militare strategico saudita non aveva mai ricevuto un appoggio completo e aperto da Washington – che sebbene lo vedesse già ai tempi dell’amministrazione Obama come una segnale per aumentare il coinvolgimento degli alleati locali negli affari terroristici regionali, non voleva sbilanciamenti per evitare d’alterare il processo di costruzione del deal nucleare con l’Iran. Trump ha invece ristretto le relazioni con i sauditi e freddato quelle con Teheran, intavolando una serie di contatti iniziati ufficialmente durante la fase di transizione attraverso un incontro alla Trump Tower – il quartier generale temporaneo dell’amministrazione.

GLI UOMINI CHIAVE

Di guidare quell’incontro con una delegazione di MBS – e altri a seguire dopo l’insediamento – si era occupato il genero-in-chief Jared Kushner, consigliere plenipotenziario della Casa Bianca, che tra le altre cose ha anche il compito di supervisionare tutte gli accordi internazionali dell’amministrazione (nonostante ci siano agenzie dedicate). Durante l’incontro dei prossimi giorni Trump potrà contare anche su Dina Powell, nuova vice consigliere per la Sicurezza nazionale con incarichi sulla linea strategica, molto vicina alla coppia Ivanka/Kushner, ed esperta del mondo saudita con buone entrature nel regno. Il presidente americano vuole cercare di allineare la propria agenda (sottinteso i propri interessi) con quelli di Riad.

AMERICA FIRST: FOLLOW THE MONEY

Secondo Rogin ci sono almeno tre questioni, collegate, per cui l’endorsement di Trump al piano saudita si inquadra nel concetto di “America First” che ha dominato la campagna elettorale e dovrebbe guidare l’azione di governo.

• La benedizione afferma la leadership americana nella regione

• Ma allo stesso tempo sposta l’onere economico-militare sui paesi alleati

• Aspetto che darà una spinta economia all’America, perché quegli alleati devono armarsi, e presumibilmente dopo l’endorsement lo faranno, acquistando armi made in Usa

I RISCHI DI PASSARE IL TESTIMONE

Appurati i tre punti, resta il dubbio, secondo i funzionari che hanno parlato con Rogin, sul come consegnare la gestione della sicurezza della regione nelle mani dei Paesi alleati – che storicamente non hanno sempre seguito una linea comune. Un primo tentativo di operazione a marchio (pseudo) Nato-Araba, con un impegno minimo americano, è stato la guerra in Yemen: i risultati sono stati pessimi sia in termini primari – i ribelli sono ancora lì, dopo mesi – sia in termini di danni collaterali e vittime civili.

(Foto: Mohammed Bin Salman)

 


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