Ci sono degli sviluppi sulla vicenda delle rivelazioni di intelligence passate inavvertitamente dal presidente americano Donald Trump a due alti funzionari russi (il ministro degli Esteri e l’ambasciatore negli Stati Uniti) durante un incontro nello Studio Ovale avvenuto mercoledì scorso.
IL PAESE: VERSIONE PIÚ DIFFUSA
Da martedì, il giorno successivo della notizia diffusa dal Washington Post, si sa che il paese che aveva consegnato quelle info agli americani era Israele. Le capacità di intelligence israeliane sono tra le migliori al mondo, e oltretutto i servizi segreti israeliani possono sfruttare anche una prossimità geografica (e socio-culturale?) con la Siria. In più, Gerusalemme segue da sempre con attenzione il conflitto perché teme che l’Iran, alleato di Damasco, possa passare armi tecnologiche al gruppo amico Hezbollah – armi che poi i miliziani libanesi potrebbero usare proprio contro Israele in un conflitto che, quando in Siria le cose si cheteranno, è dato per scontato.
LA CITTÀ
Mercoledì un articolo informato di Anna Ahronheim, corrispondente militare del Jerusalmen Post, ha detto che la città oggetto delle attività di intelligence era Raqqa, la capitale siriana del Califfato. Raqqa è il principale centro da cui vengono progettati gli attentati condotti dallo Stato islamico (l’altro era al Bab, ma è fuori dal controllo dell’IS da qualche mese), perché è lì che arrivano i foreign fighters; e per questo l’informazione del JPost è attendibile, considerando il piano rivelato da quella raccolta di intelligence.
IL PIANO
Anche sulle informazioni spifferate (termine in extra used in questi giorni) da Trump ai russi senza autorizzazione israeliana si sa qualcosa in più: si parla di un piano terroristico dell’IS. Fonti della ABC hanno raccontato che Israele era riuscito a piazzare un qualche genere di fonte all’interno della catena di comando dello Stato islamico, e da questa aveva ottenuto informazioni solide su un piano con cui i baghdadisti avrebbero voluto colpire un volo di linea americano. Per farlo avrebbero usato una bomba piazzata all’interno di laptop, in grado di passare i controlli aeroportuali. C’entrano queste informazioni con la decisione americana di vietare questi device a bordo dei voli diretti negli Stati Uniti in partenza da certi paesi? Probabile. C’entra con la decisione di ampliare il raggio delle città coinvolte in queste misure restrittive all’Europa? Probabile.
L’OPERAZIONE
Il punto è: l’attività della fonte piazzata tra i baghdadisti siriani è ora compromessa? Gli esperti si dividono, ma probabilmente la risposta è sì. Su questo il Wall Street Journal ha un’informazione in più, che peggiora le cose: sebbene quella israeliana non sia stata l’unica fonte a delineare quel piano terroristico, i funzionari che hanno parlato col WSJ dicono che quella era la “most important“. Nota: non è definitivamente noto se Trump ha parlato apertamente anche del paese alleato che gli aveva passato l’informazione, e da dove quell’informazione proveniva; ossia ‘Israele+Raqqa’ sono dettagli abbastanza solidi ma definitivamente non ufficiali.
LA FONTE
Secondo le fonti del WSJ non è possibile sapere se la fonte (israeliana) fosse una persona, ossia si trattava di un’operazione HumInt come la chiamano in gergo (di Human Intelligence), oppure se sia stato piazzato qualche sistema tecnologico in qualche posto cruciale in Siria. Sulla base di quanto riportato dal JPost l’operazione sarebbe stata organizzata dall’Aman, l’intelligence militare israeliana. Herzl Levi, il capo dell’Aman, è stato segnalato a Washington nei giorni successivi allo scandalo.
LE REAZIONI DEGLI AMICI
Il governo israeliano non ha commentato l’episodio (come fa di solito in casi come questo): il ministro degli Esteri e l’ambasciatore negli Stati Uniti hanno già assicurato che la condivisione di intelligence continuerà. La prossima settimana Trump incontrerà i vertici del governo Netanyahu, durante un viaggio di otto giorni in cui toccherà un summit Nato e vari alleati arabi sunniti. Il compito profondo sarà ricostruirsi credibilità con tutti i partner dopo le velenose rivelazioni uscite a inizio settimana sui giornali.
AL JAZEERA CAMBIA VERSIONE
Secondo l’edizione inglese del network Al Jazeera l‘informazione di intelligence di cui ha parlato Trump non proveniva da Israele, ma dalla Giordania. Nel caso, è molto più probabile si tratti di un infiltrato (HumInt). La prossimità culturale sarebbe ancora maggiore e sarebbe il motivo per cui si pensa alla risorsa umana. Al Jazeera dice che la spia non sarebbe in pericolo. I giordani sono partner strategici americani e stanno co-conducendo con Washington le attività anti-IS nell’area sudest siriana. Il giorno dopo dello scoop del WaPo Trump ha parlato al telefono con il re giordano, secondo lo schedule della Casa Bianca. I funzionari giordani che hanno parlato con Al Jazeera hanno detto che Israele in realtà non ha infiltrati nello Stato islamico, e dipende per queste informazioni dalle condivisioni degli alleati arabi.
(Foto: IDF, Graduation Ceremony dei cadetti dell’intel militare israeliana)