Con l’elezione di Emmanuel Macron il tanto bistrattato centro si sta prendendo la sua rivincita storica? I governi di coalizione rappresentano la nuova prospettiva politica dell’Europa post-crisi? D’altronde, una rondine non fa primavera, è vero. Ma due forse sì. Se poi sono addirittura tre o quattro, allora vuol dire che qualcosa di vero deve pur esserci. Perché non solo in Francia è diventato presidente il trentanovenne leader di Repubblique En Marche!: in Germania Angela Merkel – che governa insieme all’Spd – si presenta alle prossime elezioni politiche di settembre con il vento in poppa, come conferma la recentissima vittoria nello Schleswig-Holstein. In Spagna Mariano Rajoy è al potere solo grazie al sostegno dei neo-centristi di Ciudadanos e all’appoggio esterno di una parte dei socialisti. E persino in Italia, dal 2013, si alternano a Palazzo Chigi esecutivi frutto di un accordo tra il Partito democratico e movimenti moderati e di centrodestra. “Ma, in fondo, è quasi inevitabile che avvenga“, commenta in questa conversazione con Formiche.net Giovanni Orsina, politologo e ordinario di Storia contemporanea alla Luiss Guido Carli: “In termini puramente spaziali – con la suddivisione del panorama partitico tra angoli e centro – è evidente che, se una parte rilevante dell’elettorato sceglie le forze anti-sistema, gli altri non abbiano alternativa che mettersi insieme per costruire una maggioranza di governo“. Da cui la quasi inevitabile convergenza al centro: in questi casi sempre più frequenti, infatti, “l’eccessiva polarizzazione tra destra e sinistra non può consentire di creare una solida maggioranza in grado di governare il Paese. Bisogna per forza di cose venirsi incontro“.
Un po’ il tentativo percorso in questi anni da Matteo Renzi: “Il discorso renziano del partito della Nazione era esattamente quello, né più né meno“. Con la graduale trasformazione del Pd in un partito sempre più centrista e sempre meno socialista. “Come dice spesso Ilvio Diamanti, lo sta trasformando nel Pdr: il Partito di Renzi. Un processo divenuto ancor più evidente dopo la scissione e le primarie“. Una forza politica contraddistinta da quali caratteristiche fondamentali? “Lo definirei un partito pragmatico e post-ideologico, figlio del pensiero unico che si è venuto formandosi dagli anni ’80 in poi: di destra in economia e di sinistra sui diritti“. Elementi che, secondo Orsina, vanno a configurare “l’attuale grande centro“, di cui “sono espressione il pensiero di Renzi e pure quello di Macron“. Una tendenza che sembrerebbe confermata da alcuni dei provvedimenti varati in questi anni dal Partito democratico, prima tra tutte la legge sulle unioni civili: “Si tratta di politiche individualiste e anti-identitarie a cui non per caso si contrappongono i sovranisti, secondo i quali è l’identità collettiva a dover essere premiata“.
L’Italia, però, ha ovviamente le sue peculiarità. E non poteva che essere così. “Non ci facciamo mancare niente“, ironizza Orsina, che poi aggiunge: “Siamo gli unici ad avere il partito della Nazione ma anche l’anti-partito della Nazione“. Ossia il MoVimento 5 Stelle: “Pure i pentastellati sono in grado di trascendere la frattura tra destra e sinistra. E ciò ovviamente pone problemi e interrogativi: se Marine Le Pen fosse stata Beppe Grillo, avrebbe perso lo stesso? Ho i miei dubbi“. D’altro canto, anche da noi – così come in molti altri Paesi – le leadership politiche tendono a consumarsi con sempre maggiore rapidità: “E’ uno dei problemi di Renzi, che ha già governato l’Italia per tre anni: questi partiti centristi o hanno un grande successo – penso alla Grosse Koalition tedesca di Merkel – oppure finiscono con il logorarsi in modo assai veloce. Un pericolo molto serio che corre anche Macron“. Il quale ha appena varato un governo in pieno stile Grande Coalizione, guidato dal gollista ex socialista Edouard Philippe e formato da ministri provenienti sia dal partito di François Hollande che da quello di Nicolas Sarkozy, i suoi due predecessori all’Eliseo. Una doppia opa che – a opinione di Orsina – è stato in qualche modo obbligato a lanciare: “Non aveva molte alternative. D’altronde una maggioranza in Assemblea Nazionale dovrà pur trovarla. E aveva due modi per riuscirci: o cercare di sottrarre voti a socialisti e repubblicani attraverso i suoi candidati oppure fare un’alleanza con loro dopo il voto. Macron sta cercando di seguire la prima strada, ma laddove fosse necessario potrebbe sempre imboccare la seconda“.
Ma qual è in tal senso la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi europei che hanno optato per le larghe intese? Il fatto che noi ce ne vergogniamo mentre gli altri le rivendicano? “Certamente questa differenza esiste ma dobbiamo chiedercene anche la ragione. Perché Angela Merkel può fare la Grosse Koalition con i socialdemocratici senza esserne assolutamente danneggiata in termini di consenso?“. Domanda dietro a cui si erge l’enorme questione della credibilità della politica nel nostro Paese: “E’ completamente screditata. Per questo motivo un qualsiasi accordo tra forze politiche diverse viene percepito come l’inciucio cialtronesco di un’establishment arroccato al potere e non come un’operazione fatta nell’interesse del Paese”. Come invece accade in Germania: “Da quelle parti la politica ha avuto successo. Con la costruzione europea, i tedeschi non hanno perso potere ma l’hanno acquisito“. E, detta forse in modo più prosaico, non hanno visto peggiorare sensibilmente il loro tenore di vita, com’è successo in Italia. “Mettiamoci tangentopoli, gli scandali, il giustizialismo, i titoli di giornale, il peggioramento reale delle nostre condizioni socio-economiche e la sensazione di trovarci in una drammatica spirale senza fine“, ha elencato Orsina.
Esperienze e personalità molto diverse tra loro, ma accomunate da qualcosa: “Tutti questi neo-centristi dicono di sì all’Europa ma sostengono anche di volerla riformare. Lo afferma Macron, lo afferma Merkel, lo afferma Renzi e persino Berlusconi“. I risultati, però – almeno finora – sono stati tutt’altro che entusiasmanti: “Sinora tutti quanti i tentativi si sono arenati sulle divergenze oggettive esistenti tra gli interessi delle nazioni europee e sulla complessità bizantina delle Istituzioni europee“. Il rinnovato asse franco-tedesco, secondo alcuni osservatori, promette di cambiare le cose in meglio, ma Orsina non ne è del tutto convinto: “Se la montagna macron-merkeliana partorirà l’ennesimo topolino, saremo nei guai. Come ha scritto Martin Wolf sul Financial Times, c’è un’evidente differenza di interessi economici tra Francia e Germania. Così profonda da rendere molto difficile la possibilità di un accordo per far ripartire l’Europa”.
Molto dipenderà dalla capacità di mediare tra le posizioni dei diversi Paesi e dai risultati concreti che i governi sapranno ottenere. Scarsi risultati in un senso o nell’altro potrebbero, questa volta sì, far vincere i sovranisti: “Se Macron dimostrerà che il riformismo non è in grado di cambiare in meglio la situazione sia a livello nazionale che europeo, la prossima volta vincerà senz’altro Le Pen“. Uno scenario da non limitare solo alla Francia ma da estendere anche agli altri Stati europei, forse Germania esclusa. In questo senso quella tracciata da Orsina appare tanto come l’ultima spiaggia: “Per il centro è l’ultima chiamata. Deve dimostrare che lo status quo può essere modificato e che i cittadini europei possono tornare a vivere in prosperità. Se non ne è in grado di dimostrarlo, il prossimo giro toccherà con ogni probabilità ai populisti“.