Vaccinazione obbligatoria per potersi iscrivere a scuola. L’ha stabilito il Governo qualche giorno fa con l’approvazione del decreto Lorenzin. In sintesi, i bambini non vaccinati non potranno iscriversi al nido e alla materna, mentre potranno frequentare le elementari ma per la famiglia scatteranno sanzioni salate, fino 7.500 euro.
IL COMPROMESSO LORENZIN-FEDELI
Una soluzione che è frutto di un compromesso fra due linee, quella del Ministro della salute Beatrice Lorenzin, che spingeva per un obbligo totale, e quella collega dell’istruzione Valeria Fedeli, preoccupata di tutelare il diritto costituzionale all’istruzione. Per l’iscrizione a scuola i vaccini obbligatori sono 12: difterite, tetano, polio, epatite B, pertosse, haemophilus influenzae B, morbillo, parotite, rosolia, meningococco C, meningococco B e varicella.
LE POLEMICHE SUL DECRETO LORENZIN
Il decreto Lorenzin si pone l’obiettivo di limitare il rischio di diffusione di malattie infettive, concretizzatosi negli scorsi mesi in un’epidemia di morbillo che sta tuttora colpendo l’Europa ed è dovuta in buona parte al calo della copertura vaccinale registrato negli ultimi anni. La soglia giudicata idonea per impedire l’epidemia è del 95%. Secondo i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità, in Italia nel 2015 la copertura era appena del 85%.
Tuttavia il dibattito resta acceso. Oltre alle note posizioni anti-vaxer, si accumulano le critiche. Sia di addetti ai lavori, come i 150 medici lombardi che hanno scritto una lettera all’Istituto superiore di sanità, sia da parte di cittadini e associazioni. Il Movimento italiano genitori, per esempio, ha attaccato duramente il Governo perché il decreto Lorenzin prevede, nei casi più gravi, la perdita della patria potestà per i genitori che rifiutano di vaccinare i figli.
I GRILLINI: “NIENTE OBBLIGHI, SOLO RACCOMANDAZIONI”
Anche la politica ha preso posizione. Si registra in particolare la posizione del M5S che sul blog pubblica un post dell’europarlamentare Piernicola Pedicini. La posizione del M5S (che finalmente ha sgomberato il campo rispetto alla dibattuta questione della sua presunta contrarietà ai vaccini), è che l’obbligo alla vaccinazione sia dannoso. “In quindici Paesi europei l’obbligatorietà non esiste – scrive Pedicini – Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito hanno un approccio diverso basato su raccomandazione, prevenzione e informazione. I dati dimostrano che in questi Paesi la copertura vaccinale è simile a quella presente nei Paesi in cui vige l’obbligatorietà. Non c’è nessuna epidemia e nessuna minaccia alla salute pubblica (su questo punto Pedicini viene smentito qui dal World Health Organization, ndr) ma solo una lieve flessione delle coperture vaccinali che può essere fronteggiata con la raccomandazione. Il Movimento 5 Stelle non è contro i vaccini, ma contro l’abuso che si fa dei vaccini”.
I VACCINI IN EUROPA
Ma come funziona nel resto d’Europa? È vero che nei 15 paesi citati da Pedicini non c’è obbligo vaccinale. Ma per esempio in Germania per iscriversi a scuola occorre presentare il certificato di vaccinazione. Questo avviene a partire dal 2015, ovvero dall’entrata in vigore della “legge sulla prevenzione”, approvata dopo l’epidemia di morbillo che ha colpito il paese nel 2014.
Altri 14 paesi europei hanno almeno una vaccinazione obbligatoria. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea (e sintetizzati in questa cartina) i più “coperti” sarebbero i paesi dell’Est. Bulgaria, Slovacchia e Lettonia prescrivono vaccini contro tbc, pertosse, difterite, polio, morbillo-parotite-rosolia, tetano, epatite B, meningite e pneumococco. Stessa cosa in Ungheria, Polonia e Romania, con l’eccezione delle pneumococco. Repubblica Ceca e Slovenia depennano anche l’anti-tbc. Grecia e Italia si tutelano contro difterite, tetano, epatite B e poliomelite, come Francia e Malta, che però non prescrivono il vaccino contro l’epatite B. Infine c’è il Belgio, dove l’unico vaccino obbligatorio è quello contro la poliomelite.
IL CASO DEL MORBILLO IN ROMANIA
Ma sarebbe sbagliato pensare che obbligare per legge i cittadini a vaccinarsi prevenga, di per sé, il rischio di epidemia. In realtà occorre valutare attentamente l’effettiva penetrazione della pratica della vaccinazione.
Per rendersene conto, basta analizzare il caso del morbillo in Romania. Stando al rapporto dell’European center for disease prevention and control, il paese più colpito dall’epidemia attualmente in corso, con 4793 casi e 21 morti dal 1 gennaio 2016 e il 15 aprile 2017, è proprio la Romania. Cioè uno dei pochi stati che prevede l’obbligo di vaccinazione contro il morbillo. Questo sembrerebbe dare ragione a chi contesta il decreto Lorenzin.
In realtà la questione è più complessa e riguarda l’efficacia delle misure adottate del sistema sanitario romeno. Malgrado gli obblighi, infatti, secondo i dati riportati dall’Istituto superiore di sanità, la copertura vaccinale in Romania è inferiore al 90%, ben al di sotto della percentuale considerata “sicura”. Le cause possono essere varie. Il giornale tedesco Deutsche Welle ne cita una: la significativa presenza, in Romania, di popolazioni rom “diffidenti ai vaccini o escluse dai servizi sanitari”. Insomma, non basta obbligare i cittadini a vaccinarsi: occorre poi verificare che lo facciano davvero. In ogni caso le autorità romene stanno correndo ai ripari, provvedendo a fornire una copertura che l’European center for disease prevention and control definisce, al momento, “subottimale”.
IL MORBILLO IN EUROPA
L’emergenza morbillo, comunque, resta. In un comunicato diffuso a fine marzo, l’Oms ha ammonito gli Stati a “prendere urgenti misure per fermare la trasmissione” e a “tenere alta la guardia per sostenere un’alta copertura vaccinale”. È in corso il monitoraggio dei dati sulla diffusione dell’epidemia in Europa, suddivisi stato per stato. Nella classifica dell’emergenza, l’Italia viene subito dopo la Romania. Questi i numeri, aggiornati al rapporto del 21 aprile.
In Italia si sono registrati 1603 casi dal 1 gennaio al 19 aprile, 152 dei quali fra gli operatori sanitari. Particolarmente colpite le persone sopra i 15 anni. L’88% dei contagiati non era vaccinato. In particolare, a marzo 2017 si conta un numero di casi dieci volte superiore dello stesso periodo di un anno prima.
In Germania si contano 410 casi dal 1 gennaio al 2 aprile.
In Belgio 271 casi dal 20 dicembre al 31 marzo, di cui 266 in Vallonia.
In Francia 134 casi, concentrati in Lorena, dal 1 gennaio al 31 marzo.
In Austria 71 casi dal 1 gennaio al 12 aprile.
In Spagna 44 casi dal 1 gennaio al 27 marzo
In Ungheria 54 casi dal 21 febbraio al 22 marzo.
In Svizzera 52 casi dal 1 gennaio al 21 marzo e un morto. L’uomo era stato vaccinato, ma stava assumendo trattamenti contro la leucemia, che avrebbero inibito il vaccino.
In Repubblica Ceca 38 casi dal 1 gennaio al 10 aprile
In Portogallo 21 casi e un morto dal 1 gennaio al 19 aprile.
In Svezia 15 casi dal 1 gennaio al 21 marzo.
In Islanda 2 casi fino al 31 marzo, i primi casi di morbillo nel paese da 25 anni.
In Danimarca un caso dal 1 gennaio al 15 marzo.
OBBLIGO O RACCOMANDAZIONE?
Resta la domanda: qual è la strategia più efficace per promuovere i vaccini, l’obbligo o la raccomandazione? Paolo D’Ancona, del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità, già nel 2015 spiegava alla Stampa che non è possibile stabilire un giudizio di valore sulle varie politiche, perché “l’indicatore migliore per valutare l’efficacia delle varie scelte rimane la copertura vaccinale, una stima calcolata dall’Oms sulla base dei dati disomogenei trasmessi dai vari paesi”. I dati sulla copertura vaccinale, seppur disomogenei, raccontano che l’Italia è uno dei paesi più indietro, su questo fronte.
Ma, anche qui, è complicato capire quanto le imposizioni di legge aumentino effettivamente la copertura vaccinale. Un esempio? Secondo i dati reperibili sul sito dell’Oms, in Romania, dove vaccinarsi è obbligatorio, la percentuale della copertura al morbillo dei neonati, nel 2013 (l’anno più recente disponibile), era dell’88%. Più bassa del 96% del Portogallo, dove non c’è nessun obbligo.