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Tutti i nemici (e gli amici) di Giovanni Falcone

L’uomo, il professionista, l’eroe. Ma anche il servitore dello Stato, abbandonato da molti e assediato da troppi nemici più o meno consapevoli. Giovanni Falcone è stato tutto questo, e molto di più: esempio di dedizione, professionalità, capacità e passione civile, la cui stella – a 25 anni dalla sua morte – brilla più forte che mai. Al punto che anche il Consiglio Superiore della Magistratura – con cui Falcone ebbe un rapporto tutt’altro che semplice – ha deciso quest’anno di desecretare i documenti che hanno riguardato la sua attività e, in particolare, la sua relazione con il massimo organo di rappresentanza della magistratura.

Per fare questa operazione di trasparenza ci sono voluti 25 anni, mentre negli Stati Uniti è stato riconosciuto come world hero pochi giorni dopo la sua morte“, ha sottolineato l’ex magistrato Liliana Ferraro, che di Falcone è stata amica e braccio destro. Il suo intervento – ieri al Centro Studi Americani, in occasione della presentazione del libro scritto da Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, dal titolo “L’assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone” (Einaudi Stile Libero) – ha fatto emergere quanto difficile e teso sia stato il rapporto tra il magistrato e gran parte della categoria di cui era componente. Non solo prima ma anche dopo il suo brutale assassinio per mano della mafia, nel quale persero la vita anche sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta. “Non possiamo limitarci a un vuoto ricordo del passato, ma dobbiamo chiederci se in questi 25 anni abbiamo fatto tutto il possibile per onorare la memoria di Giovanni“, ha detto ancora, al limite della commozione, Ferraro. Che ha più volte chiamato in causa il primo presidente del Csm Giovanni Canzio, presente in sala al fianco di numerosissimi rappresentanti della magistratura, tra cui il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. “Sono grata ai suoi tanti amici nella polizia e nei carabinieri. Sono grata a Gianni De Gennaro che è stato il suo più fedele accompagnatore. Sono grata agli Stati Unititi. Ma non provo lo stesso sentimento nei confronti della nostra categoria“, ha concluso Ferraro.

La stessa fotografia che emerge dal libro di Bianconi, nel quale – ha ricordato il direttore del Messaggero Virman Cusenza – Falcone viene descritto sotto assedio da parte di quattro blocchi: la mafia, la politica collusa, la parte di magistratura che ne ha ostacolato il lavoro e, anche, l’opinione pubblica. D’altronde, – ha raccontato Bianconi – in quei giorni tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 non era difficile leggere sui giornali commenti e interviste anche sprezzanti nei confronti di quell’uomo che aveva deciso di  combattere la mafia fino al suo sacrificio finale. “La magistratura non ha capito – o non ha voluto capire – la sfida da lui lanciata sul modo di essere magistrati“, ha commentato il procuratore generale di Giovanni Salvi. Per il quale Falcone era di “una grandezza tragica“: “Era consapevole di quello che gli sarebbe potuto accadere, dei rischi cui la sua vita era esposta“. Qualcuno però – ha precisato Salvi – aveva capito. Come confermerebbe la risposta dello Stato alla sua morte e a quella di Paolo Borsellino: “Subito dopo quelle stragi c’è stato uno sforzo collettivo senza precedenti per ottenere quella radicale vittoria sulla mafia che effettivamente c’è stata. Le prime, le seconde e le terze linee sono finite tutte in carcere e sono ancora al 41bis. I risultati, forse, sono stati superiori alle stesse aspettative di Falcone“.

Senza il quale – è quasi superfluo ricordarlo – le cose sarebbero andate in modo molto diverso. Perché non è stato solo un martire e un eroe, ma anche e soprattutto un professionista che con il suo lavoro è riuscito a far fare allo Stato il salto di qualità definitivo nel modo di affrontare e contrastare la mafia. “Anche per questo è stato così importante“, ha ricordato Luciano Violante, che ha raccontato di averlo conosciuto nel 1980. A presentarglielo fu l’allora capo del pool anti-mafia Rocco Chinnici, poi barbaramente ucciso dai corleonesi. “Mi disse che era un prodigio nel ricostruire le vicende criminali grazie allo studio del movimento del denaro“, ha rivangato l’ex presidente della Camera. Per il quale sono due i lasciti principali dell’attività investigativa di Falcone: “E’ stato il primo a intuire che la via dei soldi e delle relazioni bancarie ed economiche era fondamentale nella lotta a Cosa Nostra. E fu anche il primo a coglierne la natura unitaria“. Ma poi di lezioni che si possono trarre dal lavoro di Falcone, ce ne sono tante altre. “Era convinto” – ha aggiunto Violante – “che si sostiene un’accusa in giudizio solo quando la si può reggere in dibattimento“. Un bell’esempio se si pensa ad oggi, con le tante inchieste che nascono roboanti sui mezzi di informazione, salvo po sciogliersi come neve al sole alla prova dell’aula. O, ancora, i suoi rapporti diretti, franchi ma anche all’insegna della massima correttezza con giornali e televisioni. Falcone – ha osservato ancora Violante – non parlava mai dei suoi processi: “Ci ha insegnato che i magistrati possono avere un rapporto con gli organi di comunicazione, ma che non deve trattarsi di un incrocio per fare reciprocamente carriera“.

Un dibattito che non è un caso si sia svolto al Centro Studi Americani. Perché negli Usa Falcone è considerato davvero un eroe mondiale, un uomo che con il suo lavoro ha dato un contributo fondamentale alla lotta contro la Mafia. E anche perché a presiederlo è Gianni De Gennaro, del quale – ha affermato Violante – un giorno il magistrato gli disse “è come se parlassi con me“. E questo rapporto così speciale – tra loro e con gli Stati Uniti – il presidente del Csa, ieri, lo ha ricordato con commozione, fin da quando si conobbero per la prima volta nell’estate del 1981. Poi più di dieci anni di lavoro in comune, fino al loro ultimo incontro. “Era il 21 maggio del 1992, eravamo entrambi ospiti dell’ambasciatore americano a Villa Taverna. Ci fu tra noi anche una piccola discussione perché non volevo che quel fine settimana tornasse a Palermo“. Due giorni dopo, il 23 maggio, Falcone sarebbe stato ucciso a Capaci.

Un sacrificio che l’Italia e gli italiani sono chiamati a ricordare. Sempre. Come ha sottolineato nel finale anche Bianconi. “Aveva ragione Falcone quando disse: ‘Bisogna morire per essere credibili’. Purtroppo è andata così. Ma noi non dobbiamo dimenticarcelo“.



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