Poco prima delle 10 di mattina, ora di Washington, l’ex capo dell’Fbi licenziato dal presidente Donald Trump, James Comey, è entrato nell’aula del Senato dove si riunisce la Commissione intelligence come una star, tra i flash dei fotografi. Fuori una lunga fila ad aspettare per assistere: Andrew Desiderio, che per il Daily Beast copre il Congresso, ha raccontato che il primo tra le persone in attesa che le porte si aprissero gli ha detto di essere lì dalla 04:15. È “Comey-mania”, dice la CNN.
Comey non ha ripetuto lo statement reso pubblico dal Senato mercoledì, che rispondeva già a parecchie delle domande a proposito dei suoi incontri diretti col presidente, ma ha sottolineato alcuni punti preliminari prima di sottoporsi alle domande dei senatori. Innanzitutto ha spiegato di essere sereno a proposito del suo licenziamento, perché sapeva che è nelle facoltà dei presidenti (al plurale perché il suo sarebbe dovuto durare dieci, contro massimo otto del doppio presidenziale) di sostituirlo “in qualsiasi momento”. Però ha detto che quello che ha fatto Trump, il modo e soprattutto le motivazioni, lo hanno “disturbato” e che hanno “diffamato” lui e l’intero Fbi: “Menzogne, pure e semplici menzogne” ha definito la versione fornita dal presidente sul suo licenziamento.
Comey ha poi preso il centro dell’inchiesta Russiagate, attorno a cui ruota l’indagine della Commissione, la sua deposizione e il suo licenziamento. L’ex direttore ha detto che non ci sono dubbi che la Russia abbia cercato di interferire nelle elezioni americani, e l’hacking contro i sistemi di voto (di cui sono usciti dettagli approfonditi per un documento trafugato dall’Nsa in questi giorni) e gli attacchi informatici contro i Democratici sono esempi.
Poi è passato su uno degli aspetti nevralgici della vicenda dal punto di vista politico, dicendo chiaramente che lui, in quel momento e in quella sede non avrebbe potuto definire se il presidente si era messo d’intralcio con la giustizia quando gli ha chiesto di allentare la presa su Michael Flynn, l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale che è uno dei perni del Russiagate. Con questa affermazione è sembrato far intendere che però l’argomento è già al vaglio dello special counsel Robert Mueller, il procuratore speciale che adesso ha in mano la gestione dell’indagine. Comey ha specificato che Trump non gli ha mai chiesto di sospendere l’intera indagine. Molti dei repubblicani che hanno interrogato Comey, per esempio l’ex candidato alle presidenziali Marco Rubio, hanno fatto domande proprio per capire se il direttore avesse interpretato la richiesta su Flynn come un ordine, perché è il punto legale della questione: se Trump si è messo di traverso alla legge. Comey ha detto che in fondo lo era.
Alla richiesta sul perché avesse iniziato a scrivere i memo, Comey ha detto di averlo fatto perché era “onestamente preoccupato che che lui [Trump] potesse mentire a proposito dei nostri incontri”e ha aggiunto che sapeva che prima o poi quegli appunti sarebbero tornati utili. In linea generali Comey non ha fatto dichiarazioni dirompenti, ha ripetuto più o meno quello uscito già nella dichiarazione spontanea, ma, pur mantenendo un atteggiamenti impassibile e professionale, ha sottolineato diversi lati negativi del comportamento di Trump. L’ex direttore s’è rifiutato di rispondere ad alcune domande troppo specifiche per proteggere l’inchiesta in corso, dato che l’audizione era pubblica.