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Consip, Scafarto, il Noe e i messaggini inquietanti. Parla Marco Taradash

Si fa sempre più complicata la posizione giudiziaria del vicecomandante del Noe Gianpaolo Scafarto. Due giorni fa – nel corso dell’interrogatorio davanti al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone – il capitano dei carabinieri si è visto, infatti, mostrare una serie di messaggi su whatsapp dello scorso gennaio tra lui e alcuni dei suoi uomini che – per dirla con le parole utilizzate da Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi su Repubblica – “fanno piazza pulita della favoletta che voleva la stanchezza e l’enormità del materiale istruttorio da gestire i responsabili dell’errore di attribuzione (a Romeo invece che a Bocchino), nella memoria conclusiva consegnata ai pm di Napoli, di una conversazione intercettata. Quella che si voleva provasse gli incontri tra Romeo e Tiziano Renzi e che, agli occhi del capitano Scafarto, avrebbe reso possibile l’arresto del padre del premier“.

Una vicenda discussa e dai contorni inediti, a proposito della quale Formiche.net ha chiesto un commento al giornalista ed esponente radicale e liberale Marco Taradash, con un lungo passato da deputato anche nelle fila di Forza Italia.

Quando ha letto i messaggi di whatsapp di Scafarto qual è stato il suo primo pensiero?

Che c’è stata chiaramente un’operazione tesa a incastrare Tiziano Renzi e immagino, attraverso di lui, a danneggiare il figlio. Un’operazione di mistificazione difficile da non ritenere consapevole, checché ne dica il capitano Scafarto. L’inchiesta si è mossa sulla base di accuse completamente false. Un’operazione politico-giudiziaria volta a destabilizzare il governo e, quindi, lo Stato.

Vista quella chat pensa sia possibile concedere ancora il beneficio del dubbio a Scafarto?

Scafarto ha parlato di errore e ha detto di non ricordare la discussione, di non sapere. Chi vuole può crederci naturalmente, ma le probabilità non giocano a favore di questa tesi. Il beneficio del dubbio glielo possiamo anche concedere. Ma lo stesso bisogna a maggior ragione farlo per chi si è fatto – a mio avviso giustamente – un’idea diversa.

Si ricorda di qualche episodio del genere nel passato? 

I casi possono essere infiniti. Il primo che mi viene in mente è il famoso avviso di garanzia del 1994 pubblicato dal Corriere della Sera mentre Silvio Berlusconi presiedeva il G8 a Napoli. D’altra parte tutta Mani Pulite è stata un’operazione in buona misura non anti-corruzione, ma anti-sistema. Si voleva distruggere il sistema all’interno del quale si era sviluppata la corruzione. Ma questo non è il compito della magistratura. Che deve andare alla ricerca dei reati e dei suoi colpevoli non far cadere i governi sparando avvisi di garanzia a raffica.

La causa di tutti questi episodi rimane il cortocircuito tra magistratura e politico?

Continua a ripetersi e oggi assume anche forme direttamente e programmaticamente politiche con il sostegno che alcuni magistrati danno esplicitamente al MoVimento 5 Stelle, tra cui in particolare Piercamillo Davigo e Nino Di Matteo ma non solo. Com’era successo con la sinistra subito dopo Tangentopoli – ma fallendo grazie all’invenzione politica di Berlusconi – i magistrati stanno cercando di nuovo, questa volta attraverso il M5s, di assumere la guida della politica italiana.

Come se ne esce? 

E’ difficile uscirne perché la politica italiana – anche in conseguenza della distruzione dei partiti di allora – è diventata debolissima e i leader sono generalmente di grande mediocrità e arrendevolezza nei confronti di quella parte della magistratura che tira le fila dell’interventismo politico. Pure il governo Renzi non ha fatto quello che poteva fare per mettere ordine nelle istituzioni del paese. Sì, ci ha provato con la riforma costituzionale ma ha gestito malissimo il referendum. E poi tutto è crollato. Oggi ci troviamo – l’abbiamo visto ieri – in una situazione senza speranza a occhio e croce.

Non trova che la politica ci stia mettendo molto del suo? I toni giustizialisti non sembra usarli solo il M5s ma in molti casi anche il Pd.

C’è stata una rincorsa al populismo giudiziario. Da una parte quella dei cinquestelle, che è diretta derivazione dei loro fondamenti culturali. E dall’altra il tentativo del Pd di difendersi da questo concezione, percorrendo però la stessa strada.

Ritiene che in virtù delle ultime novità il caso Consip si sta sgonfiando? O potrebbe esserci dell’altro? 

Certamente si è sgonfiata la parte relativa a Tiziano Renzi e alle accuse che gli erano stato rivolte. Il caso Consip – di cui non si capisce bene il contenuto – rimane aperto. Potrebbero esserci altri elementi. Ieri però si è capito che nelle indagini c’è stato un tentativo fortissimo di invasione di campo per abbattere il governo Renzi.

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