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Ecco il vero messaggio che Trump manda alla Cina nell’isola di Tritone

Fox News per prima ha annunciato che la mattina del 2 luglio un cacciatorpediniere americano è tornato a solcare le acque all’interno delle 20 miglia nautiche che circondano una delle isole contese del Mar Cinese Meridionale. Lo “USS Stethem”, un classe Arley-Burke armato con missili da crociera e assegnato al Destroyer Squadron 15 della Flotta del Pacifico, ha lasciato il porto di stanza, a Yokosuka (in Giappone), per pattugliare l’isola di Tritone.

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L’ISOLOTTO

Triton Island è un isolotto dalle dimensioni insignificanti (1,2 chilometri quadrati) del gruppo delle Paracels, che sono isole contese tra Cina, Vietnam e Taiwan; Pechino le ha occupate nel 1974, dopo aver scacciato la marina vietnamita. Il passaggio americano ha un significato politico: rivendica il diritto alla navigazione su quelle acque considerate internazionali, e significa andare contro alla volontà della Cina, che invece le ritiene un pezzo di proprio territorio. Pechino ha già comunicato che la presenza della nave da guerra americana è stata considerata un’azione politica provocatoria che lede e mette a rischio la “sovranità della Cina e minacciano la sua sicurezza”. L’ingresso del destroyer è stato definito “non autorizzato”.

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LA STRATEGIA

Queste operazioni erano parte di una strategia lenta che l’amministrazione Obama aveva avviato non dimenticando che con Pechino occorreva mantenere i rapporti, ma senza allontanarsi dagli alleati regionali (Vietnam, Filippine, Giappone), che condividono le stesse pretese territoriali cinesi e soprattutto risentono della destabilizzazione imposta nell’area dalla politica aggressiva della Cina. Il passaggio di unità militari americane è il simbolo dell’interesse di Washington per la situazione; una sottolineatura che tutto è in divenire e niente stabilito. L’interesse è legato ai fondali, ricchi di pesce e (si pensa) di petrolio e gas, in più gli isolotti si trovano su una rotta strategica per i traffici commerciali.

IL SECONDO PASSAGGIO DELL’ERA TRUMP

Nei primi mesi l’amministrazione Trump aveva negato al comando della Marina l’autorizzazione a compiere queste attività, ma alla fine ha ceduto e seguitato nel solco della strategia “debole”, come l’attuale presidente ha definito quella del suo predecessore. Il 25 maggio il destroyer “USS Dewey” ha navigato a sei miglia nautiche da Mischief Reef, isolotto artificiale costruito dai cinesi, e in fase di militarizzazione, nelle Spartly (altre isole contese). Il cacciatorpediniere aveva zigzagato, scriveva il report sul sito dello United States Naval Institute, per 90 minuti: osservato, mostrato bandiera, entrando anche in quell’occasione nella linea di demarcazione delle 12 miglia imposta dalla legge internazionale a cui Pechino si appella perché appunto considera queste isole territorio sovrano.

QUALCOSA SI È ROTTO CON LA CINA?

Gli Stati Uniti invece le chiamano attività di libera navigazione, ma è evidente come dietro ci sia un fine (geo)politico. Il passaggio delle Stethem, avvenuto poche ore prima che il presidente americano Donald Trump chiamasse l’omologo cinese Xi Jinping in un contatto preliminare al G20, è il quarto segnale che la linea collaborativa (al limite dell’accondiscendente) tenuta finora dalla Casa Bianca trumpiana nei confronti di Pechino sta venendo meno. Trump rivendica di aver creato un rapporto personale con Xi, da cui nascerà il riequilibrio dello scompenso commerciale e collaborazioni internazionali. Ma nei giorni scorsi Washington ha sanzionato una banca cinese per le connessioni con la Corea del Nord, approvato la vendita di armi a Taiwan (che Pechino considera un nemico) e si sono diffuse voci sulla possibilità che il governo americano introduca dei dazi sulle importazioni di acciaio anche cinese. “Gli Stati Uniti danneggiano gravemente la fiducia strategica tra le due parti e danneggiano gravemente l’atmosfera politica per lo sviluppo di relazioni militari [con la Cina]” ha detto in una nota il ministro degli Esteri di Pechino.


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