L’amministrazione Trump avrebbe deciso di chiudere il programma con cui la CIA addestra alcuni, pochi ribelli siriani anti-Assad. È un programma storico, progettato già dal 2012 e operativo dal 2013, molto spinto ai tempi dall’allora segretario di Stato Hillary Clinton, teoricamente segreto: “Teoricamente” perché i media in questi anni ne hanno parlato più volte, ma i particolari che lo costituiscono non sono del tutto noti. Si sa, per esempio, che sono coinvolti altri attori locali: le intelligence di Qatar, Giordania e Turchia, sono partner nel programma (e come giustificherà Washington la decisione a questi alleati?, è una delle domande).
LA LINEA SIRIANA
La scelta del governo statunitense è stata rivelata da alcuni funzionari al Washington Post, che hanno spiegato che la cancellazione avverrà gradualmente nel corso di qualche mese e che alcuni fondi stanziati per il programma potrebbero essere dirottati su altri piani per combattere lo Stato islamico. La visione politica di Donald Trump è fondamentalmente contraria a quello che la strategia della CIA supponeva come obiettivo – il regime change, e il successivo nation-building siriano – mentre crede fermamente nella necessità di combattere ovunque il terrorismo; e questo è uno degli aspetti per cui la decisione non è così sorprendente, anche se è una testimonianza del sostanziale disinteresse per le sorti del conflitto civile. L’attuale presidente ha già espresso una posizione sulla situazione in Siria durante le campagna elettorale: Bashar el Assad è un dittatore, “ma combatte l’ISIS”, ha detto Trump durante uno dei comizi televisivi. E adesso soprattutto gli ambienti non-militari dell’amministrazione americana stanno ormai iniziando a ritenere sufficientemente accettabile l’inclusione di Assad all’interno del processo di stabilizzazione dopo la guerra civile. Una posizione opposta al “must go!” predicato da Barack Obama, e ovviamente non collima con l’addestramento di miliziani “vetted” (ossia, certificati non jihadisti) per farlo cadere.
UNA MOSSA CHE PIACE A MOSCA
Il WaPo fa notare fin dal titolo che si tratta di una “mossa cercata da Mosca”, una concessione per la quale Washington non avrebbe (almeno ufficialmente) chiesto niente in cambio. La Russia sta sostenendo da sempre, e apertamente dal 2015, il regime siriano: i russi combattono solo saltuariamente il Califfato, e lo fanno soltanto nelle situazioni in cui la presenza dei baghdadisti si somma al vero interesse strategico della loro presenza in Siria; il mantenimento della struttura di governo, che assicura a Mosca un’alleanza solida con basi piantate fin dal 1971 e che significa la possibilità di un affaccio diretto sul Mediterraneo attraverso le basi come Tartus o Latakia. Stante questo contesto, per il Cremlino avere nemici meno qualificati (mancanti di un programma di addestramento studiato dalla più forte intelligence del mondo), significa anche avere maggiore possibilità di chiudere una vittoria definitiva – sebbene il grosso delle opposizioni è rappresentato da milizie integraliste o gruppi che nel corso del tempo hanno seguito derive radicali, ovviamente nessuno di questi rientrante nel piano della CIA, che in verità è sempre stato piuttosto timido e poco convinto (e ormai era ridotto a una supervisione al lavoro svolto negli anni precedenti), incentrato più che altro a evitarsi sgradite sorprese certificando con minuziosa attenzione coloro che ricevevano aiuti, per non vedersi rivolte contro tattiche e armi passate ai ribelli. La Russia da tempo chiede agli Stati Uniti di mollare il programma, anche come gesto simbolico di collaborazione.
IL CONTESTO DIETRO LA DECISIONE
La notazione a proposito della sponda russa è interessante se inserita nel contesto attuale. Due settimane fa il presidente americano e il suo omologo russo Vladimir Putin hanno tenuto il loro primo bilaterale a margine del meeting G20, ed è noto che si sia parlato anche di Siria, dato che un cessate il fuoco temporaneo lungo una fascia sud-occidentale è stato diffuso all’esterno come primo risultato concreto di una linea più collaborativa tra i due paesi. L’incontro, in forma molto ristretta, è stato seguito da un altro ancora più ristretto svelato dal New York Times: Trump e Putin si sarebbero parlati per un’oretta anche durante il gala serale del G20. Erano soli, presente soltanto un interprete del Cremlino; una circostanza piuttosto fuori dal protocollo diplomatico.Secondo l’Associated Press questa volontà di Trump di aprire alla Russia sta preoccupando i suoi principali consiglieri, come il capo National Security Council, HR McMaster. La decisione di sospendere gli aiuti ai ribelli siriani detestati dalla Russia, arriva inoltre nel momento più caldo del Russiagate, l’inchiesta sulle eventuali collusioni tra Mosca e il comitato Trump per vincere le presidenziali, entrata in una fase più concreta dopo che il figlio del presidente americano ha ammesso questo genere di contatti in almeno un’occasione (la prossima settimana due delle commissioni congressuali che stanno indagando sul “Russia-thing“, come la chiamano gli americani, ascolteranno i protagonisti trampiani della vicenda).