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Il governatore della West Virginia cambia partito e passa con Trump

Non bastava lo schiaffo di un governatore che appena sei mesi dopo essere entrato in carica passa con i repubblicani: Jim Justice del West Virginia ha lasciato di democratici mentre era sul palco di un comizio in stile-elettorale insieme al presidente Donald Trump. “Domocrats just hit a new low” titola il Washington Post, e in effetti pensare al momento a un’immagine peggiore, un punto più basso per la politica democratica, è difficile.

“Vi piaccia o no, ma i democratici scappano da me”, dice sarcastico Trump, e scatta l’applauso, sorrisi, giubilo, che sembra quasi il fecondo periodo della campagna – l’iconografia che lo circonda è d’altronde identica: il presidente  sul palco, intorno la gente con i poster “Make America Great Again” o “Drain the Swamp”, gli storici claim elettorali.

Il senso del titolo del WaPo è pure tecnico: con Justice che cambia casacca i repubblicani ottengono il loro 34esimo governatore, record storico; in 26 stati controllano l’intero sistema di governo, i democratici solo in sei. Justice era repubblicano, è stata la prima star democratica a dire che non avrebbe sostenuto Hillary Clinton dopo la nomination, resta comunque che il giochetto di cambiare schieramento non è troppo comune negli Stati Uniti (è stato l’unico negli ultimi cinque anni).

Il West Virginia è uno stato dove Trump ha vinto di oltre 40 punti, e passare con il presidente potrebbe anche essere una questione di sopravvivenza politica. La scorsa settimana i due sono arrivati con la stessa limo alla Summit Bechtel Reserve di Glen Jean quando Trump ha arringato il Jamboree annuale dei Boy Scouts – quello della telefonata (inventata) secondo cui il capo degli Scout s’era congratulato con lui per il gran discorso fatto, ma poi la stessa associazione Boy Scouts ha negato la dichiarazione data da Trump in un’intervista al Wall Street Journal. Nel West Virginia ci sono cinque congressisti repubblicani e un solo democratico, il senatore Joe Manchin, uno degli Asinelli più a rischio per la rielezione alle mid-term.

Dal palco di Huntington, Trump, con a fianco Justice, ha parlato dei nuovi record di Wall Street, della crescita dei proventi da carbone in West Virginia e poi ha attaccato sul Russiagate: “Non abbiamo vinto per la Russia, abbiamo vinto per voi! Ci sono tanti russi qui stasera? Siete tutti russi?” ha detto il presidente. È una realtà: la Russia avrà pure compiuto quelle interferenze, ma la vittoria a Trump l’ha data la gente di certi stati.

Qualche tempo fa Tim Ryan, il contender che aveva sfidato Nancy Pelosi per la leadership dem alla Camera, fece un commento caustico a proposito del filotto di sconfitte riportate dai democratici nelle elezioni per rimpiazzare i repubblicani che hanno lasciato i propri seggi per entrare in amministrazione: “Il nostro nome è più tossico di quello di Trump”. I democratici quelle suppletive le hanno perse tutte, cinque su cinque. Il passaggio di fronte di Justice non è niente di decisivo, ma è un indicatore del pessimo clima che gira attorno ai dem e che sta introducendo l’inizio vero e proprio della campagna elettorale per le mid-term di novembre 2018.

 

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