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Il caso delle uova con insetticida svela limiti e forze del nostro sistema

Di Francesco Bruno

La crisi delle uova contaminate all’insetticida Fipronil ci ricorda la fragilità di alcuni settori strategici per la nostra economia e lo stretto legame tra attività produttiva e sicurezza pubblica e la singolarità del comparto di distribuzione di prodotti alimentari: l’alimento è ingerito dall’uomo, diviene parte del nostro corpo e ogni suo “difetto”, anche il più insignificante, può causare un danno alla nostra salute, considerata da tutte le costituzioni dei paesi occidentali (e dai trattati internazionali) come un diritto inviolabile. Inoltre, paradossalmente, la crisi alimentare di oggi, seppur considerando le probabili inefficienze riferibili ai controlli iniziali del paese europeo dove è stato commercializzato il prodotto insano (l’Olanda, pare), evidenza come il diritto alimentare europeo (nato con il regolamento n. 178/2002) abbia introdotto un meccanismo di allarme rapido (acronimo inglese RASFF: Rapid Alert System for Food and Feed) riferito alle emergenze alimentari che sembrerebbe ben funzionare.

Prima di tale sistema, noi oggi non avremmo avuto contezza della provenienza e destinazione e (probabile) diffusione della emergenza, in quanto – come è noto – nell’Unione Europea le merci circolano liberamente da Stato membro a Stato membro, senza ulteriori controlli di sorta. Il diritto europeo, invero, si contraddistingue per una applicazione (al limite del metagiuridico) del principio di precauzione, una autorizzazione sanitaria preventiva al commercio di alimenti (oltre a quelle specifiche per i prodotti nuovi e con utilizzo di tecnologie alimentari innovative) che li presuppone (totalmente) privi di rischi per la salute, un complesso sistema di Agenzie a livello “centrale” europeo e nazionale, una attenzione regolatoria ai profili di sostenibilità ambientale dell’attività produttiva, nonché per una suddivisione tra scelta politica di gestione del rischio, in capo ad una istituzione politico-amministrativa (la Commissione europea) e di valutazione dello stesso, in capo ad una autorità scientifico-amministrativa (la Agenzia Alimentare Europea con sede in Italia, a Parma). Siffatta struttura appare, dunque, in grado di tutelare i consumatori dalla commercializzazione di alimenti insalubri, le istituzioni sembrerebbero dialogare velocemente e i dati tecnici e logistici sono disponibili in tempo reale agli investigatori e agli organi di controllo dei vari paesi.

La legislazione alimentare europea è stata introdotta con logica emergenziale (come spesso accade) a causa delle spinte dell’opinione pubblica dopo la crisi della BSE (come dimenticarla), del pollo alla diossina e del pesce al mercurio. Quindi, ci si potrebbe chiedere come “approfittare” oggi della crisi delle uova all’insetticida. Probabilmente, manca ancora un tassello per rendere il sistema alimentare realmente efficiente: farlo diventare una “global food law”, cercando di fare in modo che a livello mondiale tutti i soggetti protagonisti della filiera alimentare siano indirizzati verso una sostenibilità nutrizionale ed ambientale, che passa attraverso un sostegno ai territori in quanto presidi di biodiversità, qualità del cibo e dei prodotti tradizionali. Tale passaggio auspicabilmente in futuro potrebbe realizzarsi attraverso il dialogo, lo scambio di idee tra studiosi e operatori, nonchéattività di ricerca condivisa orientata all’individuazione di comuni identità e valori.Operazione difficile in tempi in cui la cooperazione internazionale sembrerebbe non più di moda, ma comunque da tentare.

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