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Perché Steve Bannon è stato bannato da Donald Trump

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Venerdì 18 agosto è stato “l’ultimo giorno di lavoro” alla Casa Bianca per Stephen Bannon, lo stratega politico del presidente Donald Trump. Lo scrive la nota stampa diffusa dalla portavoce Sarah Huckabee, secondo cui l’uscita di Bannon è stata concordata con il nuovo capo dello staff, il generale John Kelly.

DIMISSIONI O CACCIATA?

C’è comunque un alone di mistero su quanto successo: un articolo informato uscito sul New York Times venerdì e firmato da Maggie Haberman, che racconta il mondo dietro allo Studio Ovale, scriveva che il presidente avrebbe confessato ad alcuni collaboratori di voler licenziare dell’incarico Bannon (che però sarebbe ancora al suo posto), ma allo stesso tempo si parlava di dimissioni consegnate sul Resoluto Desk già il 7 agosto. Nei giorni scorsi la rivista di sinistra The American Prospect aveva ottenuto la possibilità di intervistare il consigliere: l’articolo con l’intervista è uscito il 16 agosto, e le parole di Bannon sembravano uno sfogo, a tutto campo, contro ciò che non gli piaceva più del mondo-Trump.

COSA SARÀ DOPO BANNON

L’esclusione di Bannon è una notizia rilevante (c’è già chi dice che la presidenza Trump perderà completamente la propria personalità, c’è chi come Ryan Lizza del New Yorker dice che invece niente cambierà, anzi potrebbe essere più radicale). Bannon ex chairman del sito di destra Breitbarttornerà nel suo ruoloBreitbart, che per anni è stato una piattaforma del pensiero proto-trumpista caratterizzando la base repubblicana (nazionalista, protezionista, populista), potrebbe diventare una linea di fuoco contro le parti dell’amministrazione con cui Bannon è stato in disaccordo. “Ora sono libero, posso rimettere le mani sulle mie armi” ha detto al conservatore Weekly Standard appena dopo la diffusione della notizia sulla sua uscita, perché, dice, la presidenza Trump per come l’abbiamo creata e conosciuta è ormai “over“: “Ho costruito una fottuta macchina a Breitbart. E ora sto per tornare, sapendo quello che so, e stiamo per rilanciare quella macchina. E la rilanceremo, lo faremo”. Joshua Green di Bloomberg ha detto di aver parlato con Bannon poco dopo l’uscita delle news su di lui e averlo sentito come uno che “s’è preso 40 Red Bull”; era agitato e vendicativo, lo chiamano “Bannon the Barbarian” assetato di vendetta violenta come Conan.

GLI SCONTRI INTERNI

La vita di colui che è stato il più efficace consigliere di Trump fin dai tempi della campagna elettorale, non è stata facile all’interno della Casa Bianca. Per esempio, nell’ultimo giro, importante, di polemiche, quello sulle violenze dei neo-nazisti a Charlottesville, Bannon s’è preso le colpe del comportamento di Trump, che alla fine di un giro rocambolesco di dichiarazioni non ha accusato apertamente i suprematisti bianchi per quanto accaduto in Virginia (una posizione che gli è costata già cara in termini di appoggio politico). Quella è stata una delle occasioni in cui la rotta di Bannon è entrata più in collisione con quella degli altri consiglieri della Casa Bianca, per primi gli Ivankner. Ivanka Trump e Jared Kushner, quest’ultimo soprattutto, sono da sempre in disaccordo con le posizioni di Bannon. Con loro i generali, ossia il gruppo di ex ufficiali tutti affezionati a una linea politica repubblicana più tradizionale (e globalista, che per Bannon significa vale come il Diavolo) piuttosto che a quella aggressiva e rivoluzionaria incarnata da Bannon.

KUSHNER E I GENERALI

Il gruppo va da Kelly al capo del Consiglio di Sicurezza nazionale HR McMaster, fino al Pentagono, dove il segretario alla Difesa James Mattis non più tardi di giovedì ha calcato le sue differenze di visioni su Bannon: mentre lo stratega aveva detto ad American Project che l’opzione militare contro la Corea del Nord era poco più che storytelling, il generale sottolineava a margine di un incontro con l’omologo giapponese che invece l’uso delle armi era pronto sul tavolo esecutivo anche solo se il Nord avesse colpito un alleato americano (Mattis era stato costretto a uscire dalla comfort zone su cui ha messo il Pentagono, la linea diplomatica sul dossier, per rassicurare Tokyo e Seul davanti alle uscite di Bannon). Ma c’è anche il comporto economico-finanziario tra i vincitori: incarnazione in Gary Cohn, consigliere, ex finanziere newyorkese e uomo d’oro di Goldman Sachs, alleato (anche geografico) della corrente Ivankner e ora influentissimo alla Casa Bianca e pronto per guidare la Fed – la borsa risponde, e il Dollaro è schizzato istintivamente in alto alla notizia dell’estromissione di Bannon, dopo una settimana segnata da perdite, legate alle polemiche velenose dopo Charlottesville e alle minacce di guerra contro Pyongyang.

IN UN’IMMAGINE

C’è una famosa foto scattata da Jonathan Erst di Reuters che riprende lo staff strettissimo attorno al presidente seduto alla scrivania dello Studio Ovale.

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La foto è dei giorni iniziali dell’amministrazione, ci sono Michael Flynn, Consigliere per la Sicurezza nazionale dimessosi il 13 febbraio; Sean Spicer, portavoce fatto fuori il 21 luglio; Reince Priebus, dimessosi il 28 luglio; e Bannon, l’ultimo “bannato” (copyright Daniele Bellasio, capo degli esteri del quotidiano la Repubblica). Tutti quei pezzi chiave del ristrettissimo organico presidenziale sono entrati in collisione tra loro (secondo una volontà del presidente, che crede che la competizione fino allo scontro tra i suoi collaboratori possa aumentarne il rendimento) e hanno in comune l’essere stati in disaccordo con la linea newyorkese (e globalista, ancora) di Kushner, che invece, viste le derive che una linea più aggressiva può prendere, piace anche al partito. Della foto resta in carica soltanto il vice presidente Mike Pence, che ha dimostrato più volte d’essere in grado di incarnare le attuali visioni più gradite all’establishment del Partito Repubblicano — che invece detestava Bannon.

 

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