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Sollevato dall’incarico il capo della Settima Flotta, finito anche sotto gli attacchi della Cina

Il vice ammiraglio Joseph Aucoin non è più a capo della Settima Flotta americana, quella del Pacifico, che guidava dal settembre del 2015. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’incidente della “USS John McCain, il cacciatorpediniere che lunedì s’è scontrato con una petroliera liberiana nelle acque di Singapore. Il comunicato diffuso sul sito della flotta è secco: la rimozione è dovuta alla perdita di fiducia rispetto alle sue capacità di comandare – al suo posto è stato già nominato il contrammiraglio Phil Sawyer.

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L’incidente della McCain, in cui dieci marinai americani hanno perso la vita, segue di poche settimana un altro analogo accorso alla “USS Fitzgerald“, unità gemella anch’essa di stanza nell’hub giapponese che gli statunitensi hanno creato a Yosuka (altri sette morti in un collisione con un cargo avvenuta poco fuori del porto di casa); mentre a maggio la “USS Lake Champlain” è finita contro un peschereccio sudcoreano.

Lunedì 21 agosto, con un video diffuso su Twitter, il capo delle operazioni navali americane, l’ammiraglio John Richardson, ha ordinato una breve “pausa operativa” per le unità navali statunitensi in modo da comprendere quali sono le criticità dietro a al susseguirsi di tutti questi incidenti (ha anche detto che al momento non ci sono evidenze di sabotaggi, anche via attacchi hacker, ma che tutte le eventualità sono in studio). Alcuni esperti ritengono che le dimensioni della flotta americana, 276 esemplari, siano inadeguate davanti al carico di lavoro; altri ritengono che collegato a questo, e alla necessità di mettere in mare velocemente gli equipaggi, si sia tralasciata una formazione approfondita (da leggere sul tema il saggio scritto nel 2015 dall’analista Bryan Clark su National Interest).

Il Global Times, l’iper nazionalista giornale del governo giapponese, ha pubblicato un editoriale non firmato – dunque voce del governo – in cui scrive che l’incidente del McCain è indice che la prontezza e la capacità di comando americana “sono in declino”. Pechino detesta la presenza militare americana in Asia, di cui la Settimana Flotta è il simbolo – la detesta perché ha l’ambizione di controllare l’area e di essere la potenza più forte. Scrive il GT che in Cina ci sono stati molti “applausi” online per l’incidente, e questo “riflette il sentimento della società cinese verso le attività della Marina americana”.

Il giornale del governo cinese prosegue sottolineando che c’è comprensione umanitaria per i morti, che le imbarcazioni militari americane che pattugliano quelle acque non sono nemiche, anche se c’è una possibilità di uno “showdown“, che però le diplomazie sapranno evitare. Il Global Times sottolinea che comunque la presenza americana è ingombrante e rischiosa, “senza preparazione completa”, perché quelle acque – e rincara, ancora di più quelle del Mar Cinese, dove a volte i cacciatorpediniere americani sono stati inviati a mostrare i muscoli su quelle zone contese – sono trafficate da molte navi mercantili, che rischiano di trovarsi in difficoltà. Pechino usa l’episodio come strumento politico: “Il Mar Cinese Meridionale non è il Triangolo Bermuda della Marina Militare statunitense, ma l’incapacità della Marina Americana di adattarsi a questa regione richiede ricerca da parte di Washington. Il modello geopolitico nel Mar Cinese Meridionale continua a cambiare e gli Stati Uniti dovrebbero essere consapevoli”.

(Foto: cpf.navy.mil)


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