Giovedì il segretario alla Difesa americano, James Mattis, era a Kiev. Ha partecipato alla parata militare organizzata nell’ambito delle celebrazioni per il 26esimo anniversario dell’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica, ha avuto colloqui riservati con il suo omologo ucraino e con il presidente Petro Poroshenko. Poi ha rilasciato una dichiarazione ai giornalisti da tradizionale-falco-repubblicano-anti-Russia: “Gli Stati Uniti stanno con l’Ucraina, non abbiamo dubbi”, perché “nonostante la Russia lo neghi, noi sappiamo che sta cercando di ridisegnare i propri confini con la forza”. Contemporaneamente Poroshenko ha ricordato la battaglia di Ilovaisk, nell’est del paese dove ancora si combatte la guerra dei separatisti filorussi, dicendo che “quegli eroi” furono attaccati da truppe regolari russe “che avevano invaso la nostra terra senza dichiarare guerra, così come una volta ha fatto Hitler. Non dimenticate e non perdonate”.
IN VISTA DEL CESSATE IL FUOCO
Mattis in Ucraina ha trovato il delegato della Casa Bianca per la crisi, Kurt Volker, che a inizio settimana s’era incontrato con il parigrado inviato da Mosca in Bielorussia. Minsk è la capitale della crisi ucraina: è là che nel settembre del 2014 è stato firmato un protocollo per il deconflicting che di fatto non viene ancora rispettato. Però oggi, venerdì 25 agosto, inizierà nel Donbass – dove ancora separatisti e governo combattono sull’onda dell’annessione crimeana – un cessate il fuoco chiuso a tempo indeterminato dal Gruppo di contatto, l’organismo di mediazione formato da rappresentati ucraini, russi e dell’Osce.
I MISSILI ALL’UCRAINA
Nel suo intervento da Kiev, Mattis è passato su uno degli argomenti più caldi del momento: il Pentagono ha proposto alla Casa Bianca un piano per inviare armi all’esercito ucraino. Si tratterebbe soprattutto di 50 milioni di dollari di sistemi anti-carro Javelin, che potrebbero essere utili ai soldati di Kiev per bloccare i blindati dei separatisti (sì, c’è il cessate il fuoco, ma fin quanto durerà?), ma al di là del dato tecnico, sarebbe la prima spedizione di armamenti letali statunitensi in Ucraina. Finora infatti gli americani aiutano gli ucraini con equipaggiamenti non offensivi (dal 2014 ad oggi i radar, i kit medici, i giubbotti antiproiettile, le radio per la comunicazione sul campo, che Washington ha passato a Kiev hanno un valore complessivo intorno ai 750 milioni di dollari).
I CRUCCI DI TRUMP, GLI STESSI DI OBAMA
La presidenza vacilla: Trump è istintivamente contrario a mosse del genere perché implicano un coinvolgimento americano nella crisi, che significa sia un’interferenza globalista, sia l’impossibilità anche futura di trovare un arrangiamento per sistemare i rapporti con Mosca – si ricorderà che una simile posizione di disimpegno era stata già adottata dal presidente Barack Obama all’inizio del 2015 più o meno per le stesse ragioni; Obama andò contro gran parte della sua amministrazione che suggeriva di armare Kiev. Mattis dalla capitale ucraina ha risposto alla domanda se queste armi non potessero rappresentare un provocazione, seppure considerate come strumento difensivo (è questo l’inquadramento che il Pentagono ne fa): “Le armi difensive non sono provocatorie se non sei un aggressore, e chiaramente l’Ucraina non è un aggressore in quanto è il loro territorio quello dove si stanno verificando i combattimenti”. Il viaggio del capo del Pentagono è stato preceduto tre settimane fa da quello del vice presidente Mike Pence. Anche lui, durante un tour tra i paesi dell’Est europeo, ha tenuto dichiarazioni dure contro Mosca, seguendo la linea di confronto severo iniziata dal 2014 in avanti: quella che Trump in campagna elettorale prometteva di cancellare.
(Foto: Defense.gov, Mattis e Poroshenko)