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Charlottesville, cosa ha detto (in ritardo) Trump

Lunedì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ripreso l’Air Force One per tornare alla Casa Bianca e lasciare i campi da golf del Bedminster resort in cui stava trascorrendo le sue vacanze in New Jersey. Il motivo è stato lavorare su “alcune” questioni calde – si dice sia in arrivo una stretta commerciale contro la Cina per esempio – e pure tenere una dichiarazione più ufficiale e più incisiva sulle violenze dei suprematisti bianchi viste in questi giorni a Charlottesville. Da giorni il presidente è sulla graticola perché nel suo commento ai fatti aveva dimenticato di condannare sia la destra nazista americana, autrice delle violenze, sia l’atto di terrorismo interno in cui una donna dei manifestanti anti-nazisti aveva perso la vita.

CHE COSA HA DETTO TRUMP

Alla fine lunedì Trump ha chiamato le cose col loro nome: “Il razzismo è malvagio e coloro che causano la violenza in suo nome sono criminali e banditi, inclusi il KKK, i neo-nazisti, i suprematisti bianchi e altri gruppi di odio che sono incompatibili con tutto ciò che crediamo come americani” ha detto Trump. “Two days too late“, due giorni in ritardo, era lo slogan dei manifestanti che si erano riuniti sotto la Trump Tower di New York per protestare contro la lentezza presidenziale in attesa del primo ritorno di The Donald nella sua vecchia casa da quando ha preso residenza al 1600 di Pennsylvania Avenue (Trump è arrivato lunedì sera alle 9:10 a New York, appena conclusi i lavori a Washington).

IL PERCHÉ DELLE CRITICHE

In precedenza il presidente aveva parlato di violenze da “molti lati”, inglobando sia i manifestanti neo-nazi, sia coloro che protestavano per quel raduno estremista (alcuni gruppi Anti-Fa hanno visioni opposte, ma allo stesso modo estremiste e a volte violente, ma in mezzo c’erano molti cittadini comuni che trovavano ripugnante il rigurgito neo-nazista). Pochi politici americani hanno edulcorato i propri messaggi di condanna per i fatti di Charlottesville evitando di calcare la mano sul ruolo dei suprematisti, quasi tutti lo hanno fatto con chiarezza e hanno pure criticato il vuoto nelle prime dichiarazioni di Trump; il Washington Post ha fatto un lavoro di raccolta dati. I gruppi della destra radicale però sono un bacino elettorale per Trump; per esempio, dice un suprematista bianco con cui il giornalista di Vice News Eddie Wang (origini asiatiche) ha cenato per un’intervista, che loro votano Trump perché le sue visioni, “se implementate, potranno permettere di rallentare l’esproprio degli Stati Uniti dai bianchi”.

TRUMP E L’ALT-RIGHT

Il link della Casa Bianca l’alt-right, che dopo i fatti di Charlottesville non sembra più tanto l’alternativa alla destra estremista e nazista, è certamente Steve Bannon, capo degli stratega politico del presidente, ex fondatore e mente del sito Breitbart News che produce anche contenuti radicali contro le minoranza e a favore del suprematismo bianco. Ma anche Stephen Miller, l’autore del testo del Muslim Ban e consigliere speciale di Trump, è un elemento che bazzica certi circoli; così come l’esperto di terrorismo che il presidente ascolta con piacere, Sebastian Gorka (è uno dei membri del Vitézi Rend, ordine storico ungherese che durante la Seconda guerra mondiale aveva link coi nazisti tedeschi). Anche sullo stesso Trump sono state alzate accuse di razzismo, sia durante la sua carriera da imprenditore, sia in campagna elettorale (e in un paio di occasioni anche quando era già presidente). Ma nel discorso di lunedì il presidente ha detto che “non importa il colore della nostra pelle, tutti viviamo sotto le stesse leggi. Tutti salutiamo la stessa grande bandiera. Siamo tutti fatti dallo stesso Dio Onnipotente”.

SULLA DIFENSIVA

Trump ha avuto grosse difficoltà in questi due giorni, ha subito attacchi da tutte le parti, molti membri dell’amministrazione come il Vice Presidente e il Consigliere per la Sicurezza nazionale avevano già usato parole dure di condanna ai suprematisti, e lui era rimasto indietro. Poi è arrivato lo statement. I sommovimenti non mancano: due membri dell’American Manufacturing Council – un organo della Casa Bianca con cui Trump vuole mettere insieme le teste dei leader delle industrie “made in USA” – si sono dimessi per protesta. L’ultimo in ordine cronologico è stato il Ceo di Intel Brian Krzanich, prima lo avevano fatto Kenneth Frazier del colosso farmaceutico Merck e Kevin Plank di Under Armour (produttore di articoli sportivi). In precedenza, quando il presidente annunciò di voler ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi furono Elon Musk di Tesla e Bob Iger di Disney a lasciare per protesta il proprio incarico nel business council, vanto trumpiano che perde pezzi per via di alcune mosse false del presidente.

(Foto: White House Video)



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