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Perché l’aggregazione Fincantieri-Stx-Naval sarà salutare per l’Italia. Report Cesi

Di Francesco Tosato e Michele Taufer
bono, fincantieri

Pubblichiamo le conclusioni del report curato dal Cesi (Centro studi internazionali) “L’evoluzione della cantieristica navale militare europea: un’opportunità per l’Italia”

L’attuale quadro economico europeo, sebbene in leggero miglioramento e con i primi spiragli di inversione di tendenza per la spesa militare previsti per il 2016 (soprattutto in Gran Bretagna, Francia e Germania), non consente più di sostenere un’industria cantieristica così frastagliata e legata a visioni nazionalistiche relegate ormai ad un passato non più sostenibile. E’ un dato di fatto incontrovertibile che oggi i principali Paesi europei non riescano a sostenere programmi navali di rinnovamento delle fregate (la spina dorsale di ogni flotta) che superino le 8-10 unità, mentre quelli di fascia intermedia sono costretti a fermarsi a 4-5 navi.

Queste “taglie” di investimento rendono i progetti di nuove navi militari europee estremamente onerosi, difficilmente ammortizzabili nel tempo e poco allettanti per i mercati export. Risulta, quindi, fondamentale iniziare anche nella cantieristica navale militare un percorso di consolidamento e razionalizzazione degli investimenti a livello europeo che tragga spunto da quanto fatto in campo aeronautico con Airbus e in campo terrestre con la prossima alleanza tra i colossi del settore tedesco Kmw e francese Nexter.

La principale particolarità del settore navale, però, è data dal ruolo centrale che in questo processo potrebbe avere il nostro Paese con Fincantieri. Infatti, il campione nazionale della cantieristica, per storia, struttura e proiezione internazionale consolidata sia nel mercato civile sia in quello militare, si presta ad essere il nucleo fondante di un’aggregazione europea nella cantieristica militare in grado di portare l’industria continentale a competere alla pari negli scenari del futuro che vedranno un ruolo sempre più sfidante dei competitor asiatici e statunitensi. Data l’attuale situazione di difficoltà dei progetti di collaborazione militare multilaterali a livello europeo (che sono troppo lenti, complessi e farraginosi da gestire), sarebbe da preferire il rafforzamento dei legami bilaterali analogamente a quanto già in essere, ad esempio, tra francesi e britannici.

Di conseguenza, l’ipotesi di lavoro più praticabile sarebbe quella che vede Fincantieri sviluppare una forma di collaborazione rafforzata con la francese Dcns per quanto riguarda le unità di superficie, mantenendo, di contro, il tradizionale ottimo rapporto con la tedesca ThyssenKrupp Marine System per quelle subacquee. In questo modo
l’azienda italiana potrebbe confermarsi quale polo aggregatore di capacità pregiate e rafforzare contemporaneamente la propria gamma prodotti e la proiezione sui mercati export.

Un’aggregazione Fincantieri-Dcns avrebbe il pregio di permettere un migliore utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo di tecnologie idonee a potenziare le capacità costruttive delle unità di superficie. In particolare, la nuova entità industriale italo-francese diventerebbe l’attore principale sia per l’utilizzo dei fondi europei duali destinati alla cantieristica (Horizon 2020 su tutti) sia per quelli esplicitamente destinati al mantenimento della Base Industriale e Tecnologica della Difesa Europea (in capo all’Eda). Inoltre, la nuova realtà Fincantieri-DCNS permetterebbe di dare ulteriore impulso allo sviluppo di sinergie europee anche in ambito di gestione e contrattualizzazione dei futuri nuovi programmi navali valorizzando ulteriormente il ruolo dell’Occar che, ad esempio, già gestisce i programmi navali Fremm, Ppa e Lss per conto della Marina Militare.

In conclusione, da quanto fin qui esposto, si evince come il comparto cantieristico si presti ad essere il campo naturale in cui il nostro Paese, con Fincantieri, possa giocare il ruolo di leader, e non di comprimario, nella costruzione di un tassello fondamentale della sicurezza e capacità economico-industriale del continente. Sarebbe quindi auspicabile che il sistema Paese supportasse la strategia di aggregazione del gruppo che permetterebbe di porre una realtà nazionale al vertice di un settore che in Europa ad oggi vale 72 miliardi di euro, occupa circa 500.000 persone ed ha implicazioni strategiche per la competitività di tutto il continente.

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