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Lattice e non solo. Ecco gli ultimi muri di Trump contro la Cina negli Usa

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Diversi punti dell’agenda di Donald Trump, dai rapporti con la Russia alla strategia per l’Afghanistan fino al muro con il Messico, sono stati “normalizzati” dai suoi collaboratori negli ultimi mesi. Ma il pugno duro contro la Cina e la sua concorrenza è una promessa che il Tycoon vuole mantenere a tutti i costi davanti ai suoi elettori.

Dopo un avvio incerto con l’incontro con Xi Jinping nel resort di Mar-a-Lago ad aprile i rapporti si sono fatti più tesi. Il piano dei 100 giorni non ha dato i suoi frutti, e mentre in agosto l’anti-dumping statunitense picchiava contro l’export di acciaio cinese h24, il presidente alzava i toni a suon di tweet infuocati contro una Cina che, a suo dire, fa poco o nulla per contenere l’isteria nucleare della Corea del Nord.

Mercoledì il presidente americano ha sferrato l’ultima stilettata al governo di Pechino. Esercitando un diritto che il Foreign Investment and National Security Act conferisce solo ed esclusivamente all’inquilino della Casa Bianca: bloccare le transazioni commerciali di Paesi esteri se ritenute un pericolo per la sicurezza nazionale. Così l’accordo da 1,3 miliardi di dollari con cui il consorzio formato da Canyon Bridge Capital Partners LLC, gruppo cinese finanziato dal governo di Xi, Yitai Capital Limited e la società controllante China Venture Capital Fund, credeva di poter acquistare l’azienda dell’Oregon produttrice di microchips, Lattice Semiconductor Corp., è andato in fumo.

Ad affossarlo dapprima il verdetto del Comitato per gli Investimenti Esteri (CFIUS) del dipartimento del Tesoro guidato da Steve Mnuchin. Poi il veto di Trump, annunciato mercoledì da un comunicato della Casa Bianca. Una mossa, scrivono da Capitol Hill, resasi necessaria per le seguenti ragioni: “Il potenziale trasferimento di proprietà intellettuale all’acquirente estero, il ruolo del Governo cinese nel supportare questa transazione, l’importanza dell’integrità della catena di produzione dei microchips per il Governo degli Stati Uniti e l’uso dei prodotti della Lattice da parte del governo”.

Si tratta del terzo acquisto da parte di aziende cinesi negli States che è stato fermato quest’anno dall’amministrazione Trump. Non erano stati più fortunati i tentativi del gigante dell’aviazione di Haikou, l’HNA Group, di comprare la Global Eagle Enterteinment, o della holding di Shenzen TCL Multimedia Technology di investire nell’americana Inseego Corp’s. Entrambi erano stati bloccati dal comitato senza dover scomodare il presidente. Lo stesso destino potrebbe incontrare la scalata dei cinesi di Great Wall per acquistare da FCA il reparto Jeep.

Crolla a Wall Street di più del 2,7% la Lattice Semiconductor, che adesso ha 90 giorni di tempo per abbandonare l’accordo. “Lattice rimane dell’idea che la transazione proposta non sollevi nessun dubbio di sicurezza nazionale che non possa essere risolto dalle misure di mitigazione comprensiva che Lattice e gli acquirenti hanno proposto” mugugna invano l’azienda dell’Oregon con base a Portland, che un tempo vendeva i suoi micro-chips all’esercito e ora, riporta Bloomberg, genera più del 70% delle sue entrate in Asia.

Non si è fatta attendere la risposta del ministero del Commercio cinese, che ha tuonato per bocca del suo portavoce Gao Feng: “Condurre un controllo di sicurezza su un investimento straniero è un legittimo diritto di una nazione, ma non dovrebbe essere usato come un mezzo per il protezionismo”.

È interessante notare però come il veto contro gli investimenti stranieri non sia affatto prerogativa di presidenti “protezionisti”. Sono solo 3 infatti i precedenti. Accadde nel 1990 con George Bush padre contro l’azienda cinese Catic. E per ben 2 volte con il presidente “liberal” Obama: nel 2012 quando fermò gli investimenti in Oregon della cinese Ralls Corp., e lo scorso dicembre 2016, quando ha gelato l’investimento del Fujian Grand Chip Investment Fund nell’Aixitron, azienda tedesca produttrice di micro-chips.



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