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Vi spiego perché è eretico il documento contro il Papa

Da che mondo è mondo, il Magistero vigente di un Papa ha ricevuto critiche e ha generato malumori: questa affermazione perentoria trova, senza dubbio, conferme continue in tutta la storia della Chiesa. Non a caso gli interventi di autorità sono sempre molto rari e hanno comunque una ragione delicata e profonda. I primi Concili ecumenici ne sono un esempio lampante. Al fine di avere una dottrina unica e valida, e di evitare divisioni in materia di fede, la Chiesa chiarì i punti teologici controversi stabilendo l’ortodossia cui è necessario attenersi per rimanere in comunione con gli altri cristiani sotto l’unica e assoluta autorità del Romano Pontefice.

Nel XII secolo, ad esempio, quando Papa Gregorio VII portò avanti quella salutare trasformazione dei rapporti politici tra Chiesa e potere, al secolo definita “riforma gregoriana”, vi furono opposizioni durissime con atti di disobbedienza che culminarono anche in precise scelte scismatiche.

Oggi ci troviamo in una fase estremamente complessa e controversa del cattolicesimo. Per la prima volta dopo il Concilio Vaticano II il Magistero di un Papa sta incontrano un’opposizione conservatrice molto dura, il cui esito ad oggi ha assunto la forma di un documento pubblico, denominato Correctio filialis de haeresibus propagatis, firmato da 62 fedeli.

Molto si può dire sul merito dei contenuti sollevati, indirizzati contro l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia. Il nocciolo della polemica divulgata è di tipo dottrinale e contenutistico, volta a porre in rilevo la possibile deriva eretica che si potrebbe dedurre dalle aperture che il documento post sinodale concede ai cosiddetti irregolari, in materia di partecipazione ai sacramenti dei divorziati risposati.

Vorrei, in questo mio intervento, evitare di entrare nel merito dell’Esortazione, del quale la Correctio, non senza una certa intelligente tendenziosità, cerca di mostrare il carattere contraddittorio rispetto alla genuina e valida dottrina cattolica sull’indissolubilità sacramentale del matrimonio. Se n’è parlato molto al momento dell’uscita del citato documento finale, ed è chiaro che tali aperture e concessioni non implichino per nulla un cambiamento in merito alla dottrina, per altro impossibile per qualsiasi pontefice, quindi non solo per Papa Francesco.

Il Depositum fidei, vale a dire l’insieme di quelle Verità che costituiscono il patrimonio Rivelato e affidato alla Chiesa, è immutabile e permanente: pertanto immodificabile in senso assoluto da chiunque. La Verità Cattolica è accessibile a tutti e riposta nel Catechismo. In essa c’è anche il Papa, definito appunto autorità suprema in materia di fede e segno visibile di unità.

Ben diverso è il discorso, da sempre fatto proprio dalla Chiesa in tutti i tempi, di una comprensione e adattamento alle circostanze storiche di questo lascito veritativo, il quale deve, sottolineo deve, trovare un’interpretazione concreta proprio nella discrezione pastorale, guidata dallo Spirito Santo, affidata al Vicario di Cristo e al successore di Pietro, in comunione con tutti i vescovi. Un giurista del calibro di Ivo di Chartres, nella Panormia, distingue molto lucidamente le “leggi immutabili”, quelle dottrinali, dalle “leggi mutabili”, quelle appunto pastorali.

Con ciò vorrei entrare rapidamente nel merito della presa di posizione assunta dalla Correctio, e con essa dai suoi firmatari.

Si tratta, infatti, di un atto gravissimo, mosso evidentemente da un unico intento polemico, che la costruzione dotta della missiva non fa che confermare. Si suggerisce una separazione tra la Verità Eterna della Rivelazione e l’Autorità di Papa Francesco, assumendo una linea interpretativa “sedevacantista”, secondo la quale cioè vi sarebbe un vuoto di potere nella Chiesa, reso palese dal distacco tra il fare e pensare del Pontefice e la dottrina vera e permanente della tradizione, un atteggiamento giudicato pericoloso perché generativo di possibili eresie.

In tanto, cosa resasi evidente anche con il noto scisma dei lefebriani, il concetto stesso di eresia non riguarda la Verità, che è e resta quella definitiva di Gesù Cristo, trasmessa agli apostoli e conservata dal magistero vigente, ma quello di autorità e obbedienza.

San Tommaso, nella Summa theologiae (I-II, p. 2, q. 11), definisce eretico chi sostiene delle posizioni contrarie alla fede in materia religiosa e manifesta “pubblicamente” infedeltà alla Chiesa dal punto di vista pratico. Nella storia questa infedeltà si è tradotta sempre in una concreta opposizione al Sommo Pontefice, nella cui istituzione sovrana è rappresentata e garantita appunto la guida concorde dei cristiani e la comunione obbediente e libera dei fedeli.

Un vescovo, ad esempio, non è eretico se non è d’accordo con il Papa, ma se professa un’opposizione pubblica che rompe l’unità con il suo governo. Il rapporto tra eresia e scisma è sempre presente. Non a caso Roberto Bellarmino ha osservato a più riprese che l’unità della Chiesa è nella visibile fedeltà al Papa, principio di autorità che poco ha a che vedere con divergenze in materia pastorale. Riconciliarsi è sempre possibile per tutti, se si torna all’obbedienza, anche perché la Chiesa non è una caserma ma semplicemente luogo materiale e spirituale dove si incontra esperimenta comunitariamente la Salvezza. Questa apertura riguarda anche i divorziati risposati e chiunque, da figliol prodigo, come tutti noi siamo, ritorni sui suoi passi e si converta di nuovo alla Verità.

In poche parole si può essere in coscienza poco sensibili e perfino scettici verso una linea dottrinale, ma non si può pubblicamente sconfessare o accusare larvatamente un Papa di promuovere eresie, quando non vi è sostanza per dirlo e soprattutto essendo Lui stesso a garantire l’ortodossia esterna della cristianità.

È chiaro che qui non è neanche necessario chiamare in causa il dogma dell’infallibilità, per altro a quanto si apprende non contestato da nessuno, ma semplicemente il cattivo spirito critico e l’intento maldestro di denunciare una linea pastorale determinata, sottovalutando l’atteggiamento, questo sì, di apostasia scissionista che si tende ad assumere in tal maniera.

Pio X, nell’Appendice al Catechismo maggiore al punto 134, spiega con chiarezza: “Lo spirito protestante, lo spirito di sconfinata libertà e di opposizione all’autorità non lasciò di diffondersi; e molti uomini sorsero che gonfiati da una scienza vana e superba, ovvero dominati da ambizioni e interessi non dubitarono di creare o far favore a teorie sovvertitrici della fede”.

Ciò indica esattamente cosa significa eresia: opporsi per vanità e superbia pubblicamente alla legittimità autorità del Papa, invece di accogliere i segni spirituali e soprannaturali che lo Spirito Santo vuol suggerire anche con un documento tanto ricco di sfumature come l’Amoris Laetitia. Non soltanto il Papa non cambia nulla della dottrina, ma applica la carità e la misericordia per comprendere e aiutare chi è in difficoltà con il matrimonio e magari si trova in una condizione di sofferenza per il proprio stato irregolare. Ricordiamoci che la maggior parte dei divorziati se ne infischia dei Sacramenti, e a tutto pensa meno che a prendere la Comunione la domenica. Per chi invece la fede ce l’ha il Papa si mostra misericordioso, semplicemente perché la Chiesa deve farlo per essere come Cristo, morto e risorto per i peccatori.

Criticare il Papa pubblicamente, in definitiva, è sempre sbagliato. Lo è non per la giustezza o meno di quanto si pensa e si sostiene in coscienza e privatamente, ma in sé e per sé. La critica pubblica non è una correzione fraterna, ma una grave disobbedienza alla sua autorità che crea difficoltà e confusione, non aiutando nessuno.

Per un credente opporsi al Papa, inoltre, è un atto di superbia e una manifestazione palese di ribelle volontà individualista rivolta all’autorità che egli incarna visibilmente e indefessamente, senza portare alcun aiuto alla sua missione di governo. Si possono infatti dire, scrivendo o parlando, Verità cristiane magari trascurate dalla finitezza storica di un Magistero e dalla specifica sensibilità umana di un Papa, senza per questo trasformarle in atti formali di contestazione mediatica, i quali sono e restano, in ogni caso, inopportuni, inaccettabili e al fondo realmente eretici, specialmente per un credente laico, la cui missione è santificarsi nel mondo e non governare la Chiesa.

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