Il codice antimafia è legge, ma c’è un ma che riguarda i beni sequestrati e confiscati. La legge approvata ieri dal Parlamento ne semplifica le procedure, però non esiste una modalità strutturata per inviare le informazioni dai tribunali agli enti che le devono ricevere. “Oggi – ha spiegato Paolo Ghezzi (nella foto), direttore generale di InfoCamere – la trasmissione di questi dati avviene via fax, o al massimo per e-mail, con informazioni scritte a penna in cui, non di rado, sono presenti errori o mancanze che è difficilissimo – se non impossibile – controllare a valle. Con il risultato che, a volte, non si riesce nemmeno a capire di quale impresa si tratti. Da qui il sospetto che manchi addirittura la volontà di far trovare l’impresa”.
COSA PREVEDE LA LEGGE
La legge varata ieri dal Parlamento, dunque, rende “più veloce e tempestiva” l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali con la creazione di una corsia preferenziale nei tribunali dei capoluoghi sede di corte d’appello in cui trattare in via esclusiva i provvedimenti. Viene poi allargato il bacino dei possibili destinatari delle misure di prevenzione, a cui rispetto al passato vengono aggiunti i reati contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione, concussione). Si introduce l’istituto del controllo giudiziario delle aziende in caso di pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e modificato il procedimento di nomina e revoca dell’amministratore giudiziario di beni confiscati, che non potrà essere dato a parenti né a “conviventi e commensali abituali” del magistrato che lo conferisce.
RIFORMA AGENZIA NAZIONALE
A gestire i beni confiscati sarà un’Agenzia nazionale per i beni confiscati riorganizzata, con la dotazione di un organico di 200 persone, sotto la vigilanza del ministero dell’Interno, che verranno però diretti da una figura intermedia. Oltre al potenziamento dell’organico, vengono anche ridefiniti i compiti, potenziata l’attività di acquisizione dati e il ruolo in fase di sequestro con l’obiettivo di consentire un’assegnazione provvisoria di beni e aziende, che l’Agenzia può anche destinare beni e aziende direttamente a enti territoriali e associazioni.
I NUMERI DEI BENI CONFISCATI IN ITALIA
Al 31 dicembre 2016 le imprese sequestrate identificate nel Registro Imprese sono oltre 17.838, di queste 10.329 sono attive, con un totale di quasi 250mila addetti e un valore di 21,7 miliardi, secondo i dati di Infocamere diffusi lo scorso giugno. In crescita, registrava, Infocamere, il numero di aziende e patrimoni sottoposti a sequestro o confisca e con tali numeri i beni sequestrati possono rappresentare una enorme risorsa per la collettività (qui tutti i dettagli). “Il recupero e il riutilizzo, nell’interesse della collettività e del mercato, dei beni confiscati alla criminalità organizzata è anzitutto una sfida di civiltà – spiega Fernando Zilio, vice-presidente di InfoCamere, a margine dell’indagine sulle imprese soggette a sequestro dei beni -. Ma è anche un banco di prova per la pubblica amministrazione perché è su valori concreti come la trasparenza, la garanzia della legalità e la tutela del lavoro che si legittima chi amministra la cosa pubblica”.
UN INTOPPO NEL SISTEMA
Ma c’è un ma, dice Paolo Ghezzi, direttore generale di InfoCamere, “uno dei punti deboli di quel ‘percorso ad ostacoli’ che ancora oggi è l’effettiva e puntuale conoscenza del fenomeno, sta nella raccolta dei dati sui beni sottoposti a sequestro. Gli ufficiali giudiziari non sono tenuti ad inviare le informazioni agli enti di competenza in maniera strutturata – attraverso applicazioni dedicate come previsto, ad esempio, dalla normativa sui fallimenti”. “Oggi – prosegue Ghezzi – gli strumenti digitali per facilitare il processo di accertamento e gestione di questi beni ci sono e vanno usati. Nell’era dei social non esistono più attenuanti per una pubblica amministrazione che non sia full-digital. Insieme agli strumenti, serve però un cambiamento culturale che parta dal legislatore e arrivi all’impiegato, e in virtù del quale norme e procedure hanno la loro ragion d’essere nel servire il cittadino e la collettività, e non nella sopravvivenza della macchina burocratica”.