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Ecco tutte le stilettate di Enrico Letta e Tito Boeri sul Jobs Act di Matteo Renzi

I termini sono un po’ vintage ma la questione è attuale. Aggiornare i contratti di lavoro ai canoni di un mercato che cambia ogni giorno di più, proiettato verso una ripresa ancora troppo incerta (qui un’analisi di Formiche.net sui recenti dati Istat) su cui il Jobs Act pare aver inciso poco. Se ne è parlato questa mattina al convegno La riforma delle relazioni industriali promosso dall’Arel, il pensatoio vicino all’ex premier Enrico Letta (segretario del think tank) e fondato nel lontano 1976 da Nino Andreatta, alla presenza del presidente Inps Tito Boeri e dell’ex ministro del Lavoro nel governo Dini, Tiziano Treu, ora presidente del Cnel.

JOBS ACT NEL MIRINO

Che tra Letta e Matteo Renzi non corra buon sangue è arcinoto. Il predecessore del leader Pd, affondato dallo stesso Renzi nel febbraio di tre anni fa, lo ha fatto capire anche in questa occasione, prendendola però da un punto di vista più tecnico. Letta infatti in modo sibillino ha attaccato gli entusiasmi di chi vede nella timidissima ripresa del mercato del lavoro il frutto di riforme antecedenti. “Credo sia sbagliato pensare che i dati sulla disoccupazione possano essere il risultato di riforme di nove o dieci mesi fa. Allo stesso modo, pensare di fare riforme per assistere tra qualche mese alla stessa rivendicazione”. Un riferimento non troppo velato all’ex premier Renzi che proprio pochi giorni fa ha salutato i dati Istat come il frutto del Jobs Act. Ma anche un monito al Pd renziano, di cui Letta non pare nutrire grande stima: errore fare riforme spot solo per gongolare, ma mettere in campo vere politiche di lungo periodo.

CONTRATTAZIONE FALLIMENTARE

Non che il presidente dell’Inps ci sia andato meno pesante sul mercato del lavoro:”L’attuale assetto contrattuale è sbagliato, fallimentare, senza dubbio poco realistico”, ha spiegato Boeri nella grande sala al terzo piano dell’associazione, alla presenza di molti sindacalisti. “Un modello che fallisce sia sul piano dell’occupazione, sia su quello della riallocazione, per non parlare dei salari minimi: ci sono persone, in giovani in primis, che rimangono con salari bassi e per questo senza stabilità alcuna, ma anche le donne. Tutto questo si traduce in una parola, disuguaglianza”.

IL MODELLO TEDESCO

Boeri ha poi rispolverato una suo cavallo di battaglia, il modello contrattuale tedesco nelle relazioni industriali (qui una spiegazione), basato sulla partecipazione (cogestione) dei lavoratori sia alla contrattazione sia ai processi decisionali. “Io lo dissi in tempi non sospetti (qui un tweet di Boeri di qualche anno fa, ndr) che il modello tedesco poteva essere una soluzione. Adesso abbiamo una contrattazione che non è in grado di ‘reggere’ le persone nel mercato del lavoro. Di qui la proposta di istituire un salario minimo orario. “L’attuale sistema contrattuale su due livelli non funziona e andrebbe sostituito con un salario minimo orario legale che valga per tutti laddove le maglie della contrattazione non sono in grado di evitare che le persone vadano sotto alcuni livelli”. Secondo il presidente Inps “sarebbe un qualcosa che permette e stimola la migliore collocazione delle risorse eliminando le imprese a bassa competitività”. “Idea però”, ha concluso un po’ sconfortato Boeri, “finita depennata dal Jobs Act”.



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