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Che cosa stanno combinando Puigdemont, Rajoy e Bruxelles

Ci risiamo. La catena di errori si ripete con una regolarità talmente impressionante che sembra dar ragione alla legge di Peter: in politica come nelle imprese ciascuno arriva in alto fino a raggiungere l’apice della propria incompetenza. Carles Puigdemont non riesce a controllare le forze che ha liberato e proclama l’indipendenza in modo unilaterale, per poi sospenderla. Non tiene conto del fatto che il suo referendum è stato il colpo di mano di una minoranza tumultuosa sulla maggioranza silenziosa che solo troppo tardi si è fatta sentire. L’ex filologo e giornalista che evidentemente non conosce il senso delle parole, scontenta tutti e sarà il primo a pagare, infilzato da ogni parte come san Sebastiano. I filo-secessionisti proclamano che il popolo ha detto sì, ma ha votato meno della metà degli elettori, ma il referendum si è svolto, ricorda El Paìs, senza il controllo dell’autorità istituita dallo stesso governo catalano, senza un conteggio finale certificato da una fonte terza e via di questo passo. E’ la “democrazia popolare” stile venezuelano se non proprio coreano.

Mariano Rajoy ha definito una farsa il referendum, poi lo ha preso persino troppo sul serio senza tener conto conto delle divisioni interne non solo al popolo catalano, ma tra gli autonomisti e gli indipendentisti. Uomo moderato e politico modesto, ha visto logorarsi il suo consenso e resta al governo come pegno della debolezza di un sistema politico indebolito e sotto stress, anche come conseguenza di una crisi durissima, apparentemente superata sul piano economico grazie all’aiuto e al benevolo occhio della Unione europea, ma ancora lacerante dal punto di vista sociale (basti guardare alla disoccupazione ancora superiore al 20%).

Adesso, il primo ministro ha deciso di attivare il meccanismo previsto dall’articolo 155 della Costituzione (in fondo il testo dell’articolo), al quale è stato fatto appello solo una volta nel 1989 da parte di Felipe Gonzalez nei confronti delle isole Canarie che non volevano pagare le tasse per l’Europa. La mossa, che richiede la maggioranza assoluta del Senato, non provoca la sospensione dell’autonomia, almeno non subito. Ma intima alla comunità autonoma di esercitare le proprie prerogative in accordo con la Costituzione e le leggi, affidando al governo centrale i poteri affinché ciò avvenga. Si applica in caso di un attentato grave all’interesse generale della Spagna. Una norma simile esiste anche in Italia, Portogallo, Austria e Germania. L’articolo 155 non implica automaticamente l’uso delle forze armate. In tal caso, bisogna ricorrere all’articolo 116 comma 4 che regola la proclamazione dello stato d’assedio e richiede l’autorizzazione del congresso dei deputati, cioè la camera bassa.

L’applicazione dell’articolo 155 può avvenire in modo progressivo, sostengono gli esperti. Il primo passo sarebbe prendere il comando dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. Poi il governo centrale potrebbe sospendere i trasferimenti in denaro e servizi o la nazionalizzazione delle imprese locali. La dottrina, non il testo della legge, prevede anche la possibilità di imporre delegati con poteri speciali e diritto di veto all’interno della amministraziione, sostituendosi temporalmente ai titolati. Tutto ciò prescinde, in ogni caso, dalle possibili reazioni delle autorità locali e della popolazione. E per questo non ci sarà molto da attendere.

Che cosa dirà adesso l’Unione europea? La Commissione ha taciuto, poi ha difeso a parole il legittimo governo di Madrid. A tutela dello Stato nazione perché la Ue è una unione di Stati sovrani, ha annunciato di non riconoscere la futura Catalogna indipendente per poi corregge in parte il tiro sostenendo che non riconosce una dichiarazione unilaterale di indipendenza all’interno dei suoi confini. A parlare sono i singoli governi e lo fanno in ordine sparso. Angela Merkel invita al dialogo. Emmanuel Macron sta con Madrid. Tutti gli altri si adeguano. Nessuno ha una chiara visione del prossimo futuro.

Abbiamo seguito lo schema dei tre errori convergenti (Puidgemont, Rajoy e Bruxelles) già usato su Formiche.net la scorsa settimana perché ci sembra che gli eventi successivi lo abbiano confermato. Ma più tempo passa più la crisi mette in discussione alcune questioni di fondo che continueranno a lacerare la Spagna e l’intera Europa anche se si raggiungerà, come le persone di buon senso sperano, un qualche provvisorio accordo. E la questione riguarda la crisi storica e forse irreversibile dello Stato nazionale così come lo abbiamo conosciuto.

Il sovranismo di ritorno in contrasto con la globalizzazione e con l’affermarsi di mega-Stati a vocazione imperiale (gli Stati Uniti, la Cina, la Russia) è degenerato in microsovranismo, sempre più piccolo: dove si fermerà, al villaggio, alla tribù, alla famiglia, o forse all’individuo quando la propria libertà entra in conflitto con la libertà degli altri ed è lo stato di natura di Hobbes, l’homo homini lupus.

Grazie al populismo destrorso (ma ha fatto strada anche in quello sinistrorso) si è diffusa l’idea che la democrazia sia nata e sia possibile solo dentro lo stato (grande o piccolo che sia) nazionale. In realtà, la democrazia moderna, quella che si basa sull’autogoverno attraverso le leggi e le istituzioni, è nata nei comuni italiani e in quello olandesi, nelle repubbliche marinare così come nelle città libere tedesche. Esattamente là dove è nata la borghesia.

Il fiorire politico, economico e sociale dei borghi e della borghesia, è avvenuto all’interno di un grande contemitore, il Sacro Romano Impero, tutt’altro che rigido e autocratico (lo stesso imperatore venica scelto dai grandi elettori). Lo stato nazionale è una creazione dell’assolutismo monarchico in Francia, in Inghilterra, in Spagna. Nell’Europa centro-orientale assume le vesti di una reazione all’imperialismo sovietico tutt’altro che flessibile e benevolente perché basato sulla dittatura comunista, riscoprendo identità improbabili se non proprio artificiose.

Lo Stato nazionale oggi attaccato dall’alto e dal basso difficilmente potrà resistere se chi lo dirige insiste nella sua difesa rigida come fa il governo spagnolo. Lo stesso Macron che pure vuol proporsi come leader di un salto in avanti verso una “Europa sovrana”, resta vittima del riflesso condizionato post-gollista se non proprio da erede di Colbert e del Re Sole.

Comunque vada a finire, la crisi catalana segna uno spartiacque. Classi dirigenti ottuse possono trasformarlo in un’alluvione, classi dirigenti illuminate possono cogliere l’occasione per guidare un processo lungo e accidentato, davvero epocale.

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L’articolo 115:

1. Si una Comunidad Autónoma no cumpliere las obligaciones que la Constitución u otras leyes le impongan, o actuare de forma que atente gravemente al interés general de España, el Gobierno, previo requerimiento al Presidente de la Comunidad Autónoma y, en el caso de no ser atendido, con la aprobación por mayoría absoluta del Senado, podrá adoptar las medidas necesarias para obligar a aquella al cumplimiento forzoso de dichas obligaciones o para la protección del mencionado interés general.

  1. Para la ejecución de las medidas previstas en el apartado anterior, el Gobierno podrá dar instrucciones a todas las autoridades de las Comunidades Autónomas”.

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