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Tutti gli errori di Matteo Renzi sul referendum in Veneto. Parla Papetti (Il Gazzettino)

Un grande e forse unico vincitore – il governatore del Veneto Luca Zaia – e una serie di sconfitti, la maggior parte dei quali dalle parti del Nazareno. Che con il segretario Pd Matteo Renzi e il suo vice Maurizio Martina aveva fatto di tutto per negare l’importanza della consultazione referendaria, salvo ritrovarsi tra le mani adesso una larga affermazione del Sì. Soprattutto in Veneto dove, almeno per ora, l’ex presidente del Consiglio – sottolinea in questa conversazione con Formiche.net il direttore del Gazzettino di Venezia Roberto Papetti – non ha neppure pianificato di recarsi nel corso del suo tour in treno attraverso l’Italia.

Direttore, è il Pd nazionale il principale sconfitto di questo referendum?

Di sicuro la segreteria del Partito Democratico – non solo Renzi – aveva sottovalutato l’importanza del referendum: forse pensavano si trattasse dell’ennesima manifestazione un po’ folcloristica del Veneto ma, in realtà, è stato un fatto politico di grandissimo rilievo.

Più che altro, era stato definito come un referendum inutile. Perché si sbagliavano a suo avviso?

Si tratta di un’affermazione risibile e dal punto di vista politico, secondo me, anche piuttosto grave. Un ministro non dovrebbe mai suggerire di non andare a votare, anche nel caso di una tornata elettorale solamente consultiva. Evidentemente Martina ha cercato di intestarsi il risultato della Lombardia per la quale si ipotizzava – com’è effettivamente avvenuto – un’astensione nettamente superiore rispetto al Veneto.

La soprende questa sottovalutazione?

Non proprio, è da anni che le segreteria nazionali dei partiti – soprattuto del Pd – dimostrano di non capire granché di quanto sta avvenendo in Veneto. Faccio presente che Renzi – nel suo viaggio in treno – non ha ancora fissato la data della sua visita in Veneto. Che, per inciso, è una delle regioni più popolate d’Italia e anche quella che produce la quota maggiore relativa di Pil, oltre che quella in cui il Pd ha le maggiori difficoltà. Mi pare quanto meno singolare. Per oras Renzi in Veneto è un illustre assente.

In questo senso in molti – prima del referendum – avevano invece elogiato la via dell’Emila Romagna verso l’autonomia. Che ne pensa?

Sostenere che quella strada sia più produttiva e meno dispendiosa è discutibile a mio avviso. Stefano Bonaccini – l’attuale governatore dell’Emilia Romagna – è stato eletto da meno del 50% degli elettori della sua regione. Qui abbiamo un referendum che, nel caso del Veneto, ha ottenuto quasi il 58% delle preferenze dei cittadini: in politica contano poche cose ma i numeri senz’altro sì. Il Veneto ora va alla trattativa con il governo con una forza che non è minimanente paragonabile a quella dell’Emilia Romagna.

A livello locale il Pd ha tenuto un altro atteggiamento, soprattutto in Lombardia dove Beppe Sala e Giorgio Gori si erano dichiarati favorevoli. E’ successo qualcosa del genere pure in Veneto?

Assolutamente sì, anzi direi in misura certamente maggiore. In Veneto c’è stato un pronunciamento della segreteria regionale del Pd a favore del Sì al referendum. Che però non è servito a cambiare l’orientamente della segreteria nazionale.

Si aspettava che l’autonomia avrebbe raccolto così tanti consensi in Veneto?

Credo che il risultato si collochi nella linea delle aspettative di Luca Zaia. Il 58% è un dato importante, a maggior ragione se si considera che non hanno partecipato al voto i residenti all’estero, i quali rappresentano circa il 9% del corpo elettorale. Una vittoria che appare ancor più rilevante nel paragone con quanto avvenuto in Lombardia: 20 punti percentuali di differenza sono un dato, questo sì, davvero eclatante.

Come spiega questa differenza tra Lombardia e Veneto?

Sono due regioni con caratteristiche molto diverse tra loro. Innanzitutto per tradizione e per storia, a partire dal percorso che ha portato l’Italia ad annettere il Veneto. Che, non va dimenticato, è letteralmente incuneato tra due regioni a statuto speciale. Non è un caso che dieci comuni del Veneto in questi anni abbiano chiesto di passare al Friuli Venezia Giulia o al Trentino Alto Adige: una spia evidente della fase che sta vivendo questo territorio.

E’ stato il referendum di Luca Zaia?

Non c’è dubbio che sia così. E’ il vero vincitore di questa tornata elettorale: alla luce di questi risultati, la sua leadership sia interna che esterna alla Lega è destinata ad aumentare notevolmente.

Non c’è il rischio di una contraddizione tra l’indirizzo nazionalista impresso alla Lega da Matteo Salvini e le istante autonomistiche che arrivano soprattutto dal Veneto?

Non mi sembra, nel senso che lo stesso Salvini ha sottolineato come il referendum sia avvenuto nell’ambito dell’unità nazionale. Un approccio coerente con la sua scelta politica. Dopodiché è chiaro che nella Lega ci siano anche spinte indipendendistiche, ma sono voci assolutamente marginali. Peraltro Zaia, a tal proposito, è stato molto chiaro, come conferma il suo giudizio sui fatti in Catalogna, a proposito dei quali non ha mai detto di essere favorevole alla strada intrapresa da Puigdemont.

Pensa che Zaia alla luce di questo risultato possa ambire a ruoli di guida a livello nazionale? Vede all’orizzonte una possibile competizione con Salvini?

Ha vinto, lo abbiamo sottolineato. Però lui stesso ha già detto – e io ci credo – di voler continuare a fare il governatore del Veneto. Anzi, ha sostenuto che dopo la vittoria del referendum, si impegnerà ancora di più in questo ruolo visto il mandato che i cittadini gli hanno attribuito con il loro voto. Sono convinto che il suo sentire sia davvero questo. Certo, poi è innegabile che all’interno della Lega vi sia oggi una leadership – quella di Zaia – con un peso specifico superiore rispetto al passato. Ma non penso affatto che vada in contrasto con il ruolo di Salvini: tra i due c’è una accordo molto saldo. Sicuramente, comunque, Zaia ha staccato Maroni nelle gerarchie interne ed esterne della Lega.

Questo voto quanto rafforza la Lega nel rapporto con gli alleati e, soprattutto, con Forza Italia e Silvio Berlusconi?

In Veneto non c’è dubbio che sia così, anche perché quella per l’autonomia è stata una battaglia condotta principalmente dalla Lega: la vittoria è loro. Il giudizio sul voto in Lombardia, invece, è un po’ più in chiaroscuro: è vero che Roberto Maroni aveva indicato nel 34% di affluenza alle urne la soglia oltre la quale ritenere che il referendum fosse stato un successo. Ma, a fronte di quanto accaduto in Veneto, il risultato in Lombardia è variamente interpretabile. Ho qualche dubbio che questo voto rafforzi la Lega in Lombardia.

Alla luce del responso delle urne, cosa immagina che farà ora Maroni? Seguirà la scia di Zaia nel trattare con il governo?

Ho qualche dubbio che una regione della forza e dell’influenza della Lombardia avesse bisogno di un referendum per andare a trattare con il governo maggiori margini di autonomia. Al contrario del Veneto, che vive una certa marginalità rispetto ai poli decisionali e ai centri del potere economico-finanziario. La forza della Lombardia nella trattativa con il governo è essere la Lombardia: e cioè la regione che esprime Milano, con tutto quello che questa città rappresenta per il Paese.


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