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Corea del Nord, Giappone e le prove tecniche di guerra nucleare

Ora possiamo finalmente dire che il regime della Corea del Nord ha ottenuto un risultato concreto.

Kim Yong Un ce l’ha messa tutta, minacciando ogni giorno di distruggere il mondo con le sue armi atomiche; ma anche lanciando missili balistici (per fortuna disarmati) sopra il Mar del Giappone arrivando a sfiorare l’isola di Hokkaido.

E grazie a questo assist involontario, il Primo Ministro Shinzo Abe ha stravinto le elezioni anticipate giapponesi grazie a un programma incentrato sulla “necessità di contromisure alla minaccia armata nordcoreana”.

Perché le contromisure possano essere attuate, c’è da levare di mezzo solo un ostacolo: la Costituzione giapponese. Questa, dettata nel 1947 dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, prevede all’Articolo 9 che il Giappone debba rinunziare alla guerra “in qualsiasi circostanza”. Per questo il Sol Levante non possiede un vero esercito dotato di reale capacità offensiva ma solo limitate “Forze di Autodifesa”.

Abe ha ottenuto la maggioranza di due terzi alla Camera bassa della Dieta: 284 eletti per il suo Partito Liberal Democratico – più 29 posti per gli alleati del partito Komeito – su un totale di 465 seggi. Alle opposizioni sono andati solo gli spiccioli: 69 alla coalizione guidata dal Partito democratico costituzionale (centro-sinistra) di Yukio Edano e 61 al Partito della Speranza (centro-destra) della Yuriko Koike; più altri 22 a indipendenti.

Con i 313 parlamentari a disposizione, Abe può finalmente far votare la convocazione di un Referendum popolare che cancelli l’articolo 9 e possa permettere al Giappone di “tornare a essere un paese normale, con una Costituzione ed un esercito adeguato ai tempi pericolosi che stiamo vivendo”. Ma, soprattutto: “in grado di poter combattere in caso di attacco”.

Aveva concluso il suo appello finale al voto con le parole: “Al Giappone serve una diplomazia forte, non si può esitare davanti alla Nord Corea che ci minaccia”. E appena si è profilata la schiacciante vittoria ha dichiarato: “Come avevo promesso durante la campagna elettorale, il mio compito è di occuparmi fortemente della Corea del Nord. E per questo c’è bisogno di una diplomazia forte”.

Il Giappone non ha relazioni diplomatiche con la Corea del Nord; ma le feluche mantengono solo un flebile collegamento fra Tokio e Pechino, ora il più stretto alleato di Pyongyang. Per questo, il primo passo di questa azione diplomatica si concretizzerà nell’accogliere Donald Trump, la cui visita a Tokio è prevista già nei primi giorni di novembre.

A questo punto, tutti gli ingredienti necessari per una ricetta veramente esplosiva si vanno rapidamente amalgamando fra loro nel calderone del Mar del Giappone.

Abbiamo al centro la Corea del Nord, una dittatura guidata da un irresponsabile. Al confine meridionale i cugini del Sud che sublimano le loro storiche avversità con il Giappone solo grazie a un più forte odio verso il Nord. A Nord e ad Est la Cina, potenza nucleare. A SudEst il Mare Cinese Meridionale dove Pechino continua a costruire isole artificiali per trasformarle immediatamente in basi militari e rivendicare il predominio su tutte quelle acque. Aggiungiamo una sapiente spruzzatina di basi militari americane fra Filippine, Guam e dintorni e chiudiamo il coperchio con il fronte Nord dove il sistema di difesa nucleare russo è pronto a reagire ad eventuali guai.

Aggiungiamo che, dopo USA, Russia, Cina e Nord Corea, altre nazioni in possesso di armi atomiche sono Francia e Regno Unito (obbligate a intervenire in difesa degli USA dal trattato NATO) e che dall’elenco dei Paesi Nucleari mancano solo India e Pakistan. Ma queste ultime sono lì vicino: esattamente lungo il cammino di eventuali radionuclidi che fossero spinti verso Est dai venti dominanti caratteristici del Mar del Giappone.

E, per i palati più esigenti, dobbiamo considerare altri tre ingredienti che entrano di diritto nello stesso calderone: il cibo, il commercio e l’energia.

Prima di tutto, le sole risorse ittiche del Mar Cinese Meridionale sfamano centinaia di milioni di persone residenti in dieci nazioni grazie a 17 milioni di tonnellate di pesce pescato all’anno.

Questa è anche la seconda principale rotta commerciale del mondo intero. Oltre il 50% di tutto il tonnellaggio del carico mercantile del pianeta passa attraverso gli stretti di Malacca, di Lombok e di Sunda che lo delimitano.

Sul fronte energetico, il petrolio greggio attraversa queste acque in misura pari a 11.0 milioni di barili al giorno, la maggior parte dei quali (10.4 milioni) proviene dal Golfo Persico. Metà di queste petroliere hanno destinazione Hong Kong mentre quasi tutto il resto punta su Giappone (3.2) e Corea del Sud (2.4).Anche 170 miliardi di metri cubi di Gas Naturale Liquefatto attraversano queste acque ogni anno. 60 miliardi di questi giungono dagli impianti di liquefazione del Golfo Persico, 25 dall’Australia e 8 dall’Africa. Il resto viene prodotto dalle nazioni che lo circondano. 96 miliardi sono destinati agli impianti di rigassificazione del Giappone, 40 vanno in Corea. Infine, 17 a testa approdano tra Hong Kong e Taiwan.

Passiamo alle riserve. Secondo l’EIA statunitense, in queste acque si trovano 11 miliardi di barili di petrolio e 5400 miliardi di metri cubi di gas naturale solo considerando le riserve provate e probabili. Ma secondo l’U.S. Geological Survey, le aree ora inesplorate nasconderebbero altre risorse comprese fra 5 e 22 miliardi di barili di petrolio e fra 2000 e 8200 miliardi di metri cubi di gas. Parliamo di riserve paragonabili a quelle dell’Arabia Saudita.

In parallelo, il veloce tasso di sviluppo dell’intero bacino asiatico, seppur rallentato negli ultimi anni, continua a crescere in media del 2,6% ogni anno e si prevede che nel 2035 arriverà rispettivamente al 30% ed al 20% del consumo mondiale di petrolio e di gas. Per quella data, il 90% delle esportazioni di combustibili fossili prodotti dal Medio Oriente transiteranno per queste acque.

Sempre che una guerra nucleare non distrugga tutto.



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