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Russiagate, ecco perché l’ex capo della campagna di Trump, Manafort, è stato incriminato

La mattina di lunedì 30 ottobre, l’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, si è consegnato all’Fbi. Insieme al suo socio storico Rick Gates è accusato di 12 capi d’imputazione, tra cui cospirazione, riciclaggio di denaro, falsa testimonianza, violazione della legge sulle lobby. La richiesta di arresto è arrivata da Robert Mueller, lo special counsel che per il dipartimento di Giustizia sta indagando il Russiagate, la maxi-inchiesta sulle interferenze russe durante le elezioni presidenziali americane dello scorso anno, che scava anche sulle connessioni tra queste e uomini della campagna Trump-2016. Già da qualche giorno le fonti dei media americani (per prima la CNNanticipavano che una grand jury aveva già autorizzato la prima richiesta di fermo giudiziario, e che sarebbe arrivata già all’inizio di questa settimana; la cosa rappresenta un ulteriore passo avanti nell’indagine, ma non certamente il punto di arrivo. Al momento non sono state rese esplicite eventuali connessioni tra le accuse a Manafort e comportamenti criminali nella campagna Trump. Per quanto noto finora, i capi d’imputazione non sono legati direttamente all’inchiesta.

LA POSIZIONE DELICATA DI MANAFORT

Ormai da mesi si sa che Manafort era uno degli indagati con la posizione più delicata: a luglio la sua abitazione di Alexandria (Virginia) è stata oggetto di una perquisizione improvvisa all’alba da parte dei Federali, che cercavano documenti compromettenti nascosti dal consulente. Manafort, avvocato da molti anni in affari nel mondo delle consulenze politiche ed elettorali per i repubblicani, era stato licenziato da Trump nei mesi finali della campagna, ma il suo ruolo è stato importantissimo, soprattutto nelle fasi successive alla nomina uscita dalla convention. Suo il merito di aver cercato di tenere insieme il più possibile il Partito Repubblicano, che non voleva Trump, anche attraverso la scelta del vicepresidente Mike Pence; una mediazione con l’establishment del Grand Old Party.

LOBBYING, RICICLAGGIO E UCRAINA

Tra le accuse, l’aver creato un sistema di aziende a Cipro per ricevere pagamenti da politici e imprenditori dell’Europa orientale, sostiene il New York Times. Le società cipriote erano una copertura, una lavanderia, per far passare soldi ricevuti in violazione delle regole di lobbying: Manafort “ha usato la sua ricchezza nascosta all’estero per godere di uno stile di vita lussuoso negli Stati Uniti senza pagare le imposte su quei redditi”, dice l’accusa. Il riferimento è a un lasso di tempo che va dal 2006 al 2016 (“almeno”). Una storia di lobbying e soldi da politici dell’Est europeo fu il motivo che indusse – ufficiosamente – Trump a licenziare Manafort da capo della campagna: ad agosto del 2016 i giornali scoprirono che aveva ricevuto 12 milioni di dollari non dichiarati per consulenze politiche al soldo di Viktor Yanukovych, l’ex presidente ucraino deposto dai moti del Maidan. A differenza di Manafort, Gates, il suo socio, è restato nello staff di Trump fino all’elezione, e ha diretto l’inaugurazione agli ordini di Tom Barrack, intimo amico del presidente. Anche Manafort però era rimasto in contatti informali con lo staff di Trump.

LE COLLUSIONI (?)

Paul Manafort è uno dei papaveri della campagna Trump che la scorsa estate si incontrò con una faccendiera russa, con discussi collegamenti col governo di Mosca, nel tentativo di ottenere informazioni compromettenti in grado di danneggiare la concorrente democratica alle presidenziali, Hillary Clinton. Le agenzie di intelligence americane hanno concluso che la Russia ha ordito un piano per screditare Clinton e favorire la vittoria di Trump: Mueller sta indagando su questo piano e su quanto gli uomini di Trump ne fossero consapevoli o a conoscenza (è soprattutto per capire questo aspetto, e per capire se Trump ha cercato in qualche modo di ostacolare il corso delle indagini, che a maggio è stato nominato Mueller).

UN ALTRO NOME: PAPADOPOLOUS

Secondo gli stessi atti giudiziari resi pubblici, George Papadopolous, consulente di Trump per la politica estera durante la campagna elettorale, si è dichiarato colpevole di aver mentito all’Fbi nell’ambito dell’inchiesta sulla Russia. Papadopolous è una della tante persone ascoltate dagli investigatori che stanno cercando di ricostruire le eventuali collusioni Trump/Cremlino. Da quando c’è stata la perquisizione di luglio, in molti ritengono che Manafort possa arrivare a qualche patteggiamento per evitare la pena, e raccontare tutto ciò che sa sugli intrecci con la Russia. Attenzione: l’arresto di Manafort è il punto di partenza della parte più corposa del Russiagate, quello delle accuse. Al contrario della difesa istintiva di Trump, che ha subito twittato che la questione non c’entra con le eventuali collusioni, c’è da aspettarsi ancora molti sviluppi sull’inchiesta, che va avanti proprio perché Mueller e il suo team ha trovato qualcosa su cui indagare.

 

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