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Auto, ecco perché l’Europa deve spingere sul biometano. Parla Gerini (Ngva)

Andrea Gerini

“Nessuno di noi è talebano: il futuro della mobilità non sarà al 100% né elettrico né a metano. È importante che tutti, comprese le istituzioni, capiscano che per i prossimi 15 anni le tecnologie dovranno necessariamente coesistere in una lunga fase di transizione, e si regolino di conseguenza”. Lo dice Andrea Gerini (nella foto), segretario generale della Natural Gas Vehicle Association.

Il dibattito sul superamento dei combustibili tradizionali, benzina e diesel, è aperto. Da un lato c’è chi, come Toyota, sperimenta le soluzioni all’idrogeno. Dall’altro chi, come Tesla, punta sull’auto elettrica. E infine, c’è il gas naturale, su cui moltissime case stanno investendo. Uno dei motivi principali è la “vicinanza” fra questa tecnologia e quella tradizionale, che rende più comodo, per i colossi del mercato, uno switch energetico sul biogas. Si tratta di una fonte rinnovabile, meno costosa di benzina e gasolio e tendenzialmente “pulita”. Proprio per questo, buona parte delle case intendono esercitare azione di lobby per strappare all’Unione Europea incentivi e sostegno. “Nessuno mette in discussione lo sviluppo dell’elettrico – premette Gerini – Ma esistono dei vantaggi oggettivi del biogas. Per esempio il metano è più spendibile sui mezzi pesanti: se voglio sostituire 100 litri di gasolio con la tecnologia elettrica devo montare batterie da due metri cubi e 4 tonnellate. Invece con il biometano, ottengo la stessa energia con un serbatoio da 160 litri. Inoltre il motore a biogas, pur essendo più costoso, permette di abbattere del 20% i costi del carburante rispetto al gasolio, a parità di energia prodotta”.

E parlando di auto?

La forte spinta sull’elettrico ha buone motivazioni, ma esistono limiti sulle infrastrutture. Per esempio, per ricaricare velocemente le auto occorrono stazioni molto potenti, da 150-200 Kw, che non ovunque sono disponibili. Se poi parliamo di prestazioni, oggi il biometano non subisce più quel gap rispetto ai combustibili tradizionali.

Parlando di incentivi, come si muove l’Europa?

L’Unione ha emesso la direttiva su Alternative fuel, che chiede in sostanza agli Stati di costruire politiche a favore della mobilità alternativa. Ad esempio, fornisce i criteri per la realizzazione delle stazioni di rifornimento: sulle linee extraurbane dovrebbe essercene una ogni 150 km per le auto e una ogni 400 km per i mezzi pesanti. Detto questo, per chi non rispetta la direttiva non sono previste sanzioni. La Commissione ha messo poi sul piatto circa 130 milioni fino al 2020 per incentivare le stazioni di servizio sugli assi di collegamento strategici. Coprono fino al 50% dell’investimento per la realizzazione. In generale, la direttiva ha un rischio di sbilanciamento sull’elettrico, anche perché è stata studiata per quella tecnologia e poi integrata per altre. Inoltre, l’8 novembre dovrebbe uscire un rapporto della Commissione con il riassunto di quanto ciascuno Stato intende fare. Poi, a macchia di leopardo, i singoli Stati promuovono incentivi: Belgio, Repubblica Ceca e Ungheria stanno spingendo molto sul biometano. Questo perché, soprattutto nei paesi dell’est, c’è la convinzione di non essere pronti a una mobilità elettrica spinta.

Perché?

Per un problema di potere d’acquisto: le auto elettriche costano molto, e il metano è visto come soluzione più appetibile.

E quali sarebbero le vostre richieste alle istituzioni?

Ne abbiamo di due tipi. La bozza del regolamento Co2 per il post 2020, ad oggi, prevede che si passi ad un limite di 120 grammi di Co2 prodotta per chilometro da ogni veicolo ai 95 g/Km. Chi sfora, inteso le case automobilistiche, paga, e paga salato. Il punto è che le emissioni si misurano in base “allo scarico” dei mezzi testati. È evidente che con questo metodo di calcolo l’elettrico risulta vincente, perché, a differenza del biometano, non emette Co2, . Noi vorremmo che passasse un’altro concetto: occorre tenere conto anche della Co2 emessa a monte, nel processo di produzione dell’energia. In questo modo il biogas diventa competitivo, perché per produrre elettricità comunque si emette più anidride carbonica rispetto al biogas.

E la seconda richiesta?

Modulare bene, nel regolamento, i parametri sulle emissioni di particolato (le polveri sottili, ndr) che definiscono quanto una vettura è da considerarsi “pulita”. Anche qui, è evidente che la vettura elettrica è avvantaggiata. Ma le emissioni del biometano, pur non essendo paragonabili all’elettrico, sono anch’esso molto competitive, soprattutto rispetto al diesel. Considerato che uno switch dal gasolio consentirebbe un buon miglioramento della qualità dell’aria delle città, vorremmo che la Commissione lo tenesse presente. Consideriamo che stiamo parlando di una tecnologia matura, disponibile in tempi brevi e che può dare da subito un buon contributo all’ambiente.



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