Quella finale di Wimbledon fu uno di quegli eventi per i quali mi ricordo esattamente dove ero: davanti alla Tv in bianco e nero dei miei nonni in una domenica di un caldissimo 5 luglio a Marina Romea, Ravenna. Borg McEnroe è il film presentato alla festa del cinema di Roma, accolto da grandi applausi, vincitore della dodicesima edizione sarà nei cinema dal 9 novembre.
Nelle recensioni si legge di una storia raccontata con puntualità e ritmo, di perfette ricostruzioni dei match, compresi i flashback, dei caratteri e dei vezzi dei due campioni di tennis alla vigilia di una finale diventata poi leggenda: quella di Wimbledon 1980.
La mia difficoltà a schierarmi allora per l’uno e per l’altro, a tifare per Ice Borg o per Super Mac è un elemento cruciale dei miei ricordi: e credo che ne avrò conferma quando vedrò il film. Di fronte a due giganti del tennis come Borg e McEnroe, per un adolescente racchettaro di provincia, era difficilissimo schierarsi, così come non riconoscere l’autenticità della loro classe. Che aveva caratteristiche diverse ma autentica per entrambi.
L’orso svedese (il suo nome proprio in svedese significa proprio Orso…) era il numero uno. Un mito, un totem piantato in mezzo al villaggio del grande tennis, che con i suoi fendenti da fondo campo e la sua fisicità stroncava gli avversari. Anche a Wimbledon, campo sulla carta inadatto al suo gioco: eppure Borg sapeva adattare quel gioco potente alle leggi dell’erba. Oltre all’efficace risposta al servizio e alla consueta potenza dei colpi, nel suo turno di battuta sorprendeva l’avversario abbandonando il rovescio bimane in top spin per conquistare la rete con un efficace slice. Una tattica semplice ma applicata perfettamente che gli aveva consentito, rovesciando ogni pronostico degli erbaioli puri, di vincere già 4 titoli consecutivi.
Dall’altra parte, SuperMac “il moccioso”, il pretendente al trono. Il “braccio sinistro de Dios”, come lo ribattezzò il grande maestro del giornalismo tennistico mondiale che risponde al nome di Gianni Clerici, di cui negli anni ’80 non perdevo mai un articolo su il Giorno. John Patrick McEnroe, mancino, insolente, litigioso, aggressivo contro arbitro e avversario, era capace di giocate da autentico prestigiatore della racchetta.
In una parola? Micidiale. Quella finale del 1980, vista in bianco nero, vinta al quinto set dall’orso svedese, quel tie break del quarto set vinto da SuperMac 18 a 16, tutto fu uno spartiacque incredibile.
Per noi racchettari degli anni ’80, fu un evento mitico. Quante volte con gli amici nelle nostre partitelle in un campo in terra battuta abbiamo ‘rigiocato’ quella finale di Wimbledon? E non è finita: Borg McEnroe, questa volta ci vediamo al cinema.