Venerdì l’Arabia Saudita ha ordinato ai suoi cittadini di lasciare immediatamente il Libano; poche ore dopo, l’ordine è stato ripreso da Emirati Arabi Uniti e Kuwait. Secondo alcuni osservatori è il segnale che potrebbe succedere qualcosa di rilevante, e si intende per sottinteso un attacco contro il gruppo politico-militare sciita Hezbollah, lo stato-nello-stato che controlla Beirut. Sabato scorso il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato, da Riad, le suo dimissioni: lo ha fatto perché, dice lui, si sentiva minacciato (anche fisicamente) dagli Hez, che controllano il sistema paese locale e sono un pezzo importante del piano espansionistico che l’Iran ha per il Medio Oriente (Hariri ha detto anche di non poter più far fronte a questa ingerenza iraniana).
IL SUBALTERNO DI RIAD
Secondo Teheran e Hezbollah, Hariri è stato addirittura sequestrato dai sauditi, che lo hanno da sempre considerato un loro subalterno libanese (ha vissuto per cinque anni in esilio sotto la protezione di Riad, ha anche nazionalità sauditi, è il leader del principale gruppo politico sunnita libanese) e ora l’hanno costretto ad annunciare le sue dimissioni, per usarle come proxy per aprire un altro scenario di confronto con la Repubblica islamica sciita, nemica esistenziale del Regno sunnita; pare che le dimissioni siano state anticipate personalmente in Bahrein e ad Abu Dhabi per volere saudita. Non è effettivamente chiaro che fine abbia fatto Hariri: i sauditi reagiscono con scherno alle denunce di rapimento, ma l’aereo privato con cui era arrivato a Riad è rientrato Beirut senza di lui e dal Libano i suoi colleghi di partito denunciano che non ha libertà di movimento e di espressione (attenzione: una fonte diplomatica occidentale, dice anonimamente al New York Times di aver incontrato l’ex premier e di “aver avuto l’impressione che non fosse libero di parlare”. Hariri ha visto ambasciatori dal Regno Unito, Onu, Italia e Stati Uniti in questo giorni). Di più: per aumentare i toni di questo confronto, Riad starebbe agendo in partnership con Israele, altro nemico esistenziale iraniano. Si deve tenere conto, però, che tra il regno che difende i luoghi sacri dell’Islam e lo Stato ebraico non ci sono relazioni diplomatiche formali, e teoricamente, se non fosse per il nemico comune Iran, i due mondi sarebbero sufficientemente distanti da dire che si detestano: evoluzioni attuali, a inizio ottobre un alto funzionario saudita era a Gerusalemme per un contatto discreto, roba mai successa prima.
ATTI DI GUERRA
Venerdì, l’ordine di evacuazione ai sauditi è stato anticipato da una dichiarazione pesante del ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, che ha definito il Libano uno Stato ostile e ha detto che la presenza al governo e nei meccanismi amministrativi di Hezbollah è un “atto di guerra” contro l’Arabia Saudita. Questo genere di lettura è un altro punto che accomuna Riad e Gerusalemme: gli israeliani dicono che visto che il presidente libanese, il cristiano-maronita Michel Aoun, è molto vicino a Hezbollah e che il partito-milizia è pienamente inserito (leggere: controlla) nei gangli della politica, dell’economia e della difesa, allora questo significa che se dovesse riaprirsi un conflitto come quello del 2006, questo non sarebbe più uno scontro tra Israele e il gruppo paramilitare (che l’Occidente considera organizzazione terroristica), ma sarebbe una vera e propria guerra tra Israele e Libano.
L’IMPAZIENZA SAUDITA
L’allineamento strategico tra Israele e Arabia Saudita è oggetto dell’impazienza di Mohammed bin Salman, futuro erede al trono saudita che sta spingendo l’acceleratore del suo cambiamento interno, con forza e aggressività, ma che rischia di usare canoni analoghi in politica estera e fare scelte forzate e sbagliate. MbS ha un link speciale con l’amministrazione Trump – in particolare con l’ala che più gli somiglia, anche solo dal punto di vista generazionale: quella capitanata dal genero-in-chief Jared Kushner. E questo rischia di far correre troppo le cose e preoccupa. Ieri, per esempio, è stato reso noto che il presidente francese Emmanuel Macron sta mettendo le mani sulla questione, con una visita imprevista a Riad.
IL RUOLO DI MACRON
Macron vuole giocare un ruolo nel palcoscenico mondiale, ma si inserisce in crisi complesse come questa anche per interesse. La Francia ha legami storici e influenza in Libano per la presenza coloniale, e così, Macron, che era negli Emirati Arabi alla presentazione della sede distaccata del Louvre, ha annunciato di voler fare un salto nel regno (visita lampo: due ore) per incontrare direttamente bin Salman e provare a dare il suo contributo per evitare un’escalation. Interessi collegati: Macron è un attento sostenitore dell’accordo sul nucleare iraniano, quello che Trump ha voluto decertificare dando anche la spinta definitiva alle ambizioni di confronto saudite. Il francese lo ritiene una delle basi per la stabilità mediorientale, a cui è interessato per ragioni nazionali. Total ha investito nel petrolio iraniano, ma allo stesso tempo Mubadala, il grande fondo di investimenti emiratino, sta pianificando di investire almeno un miliardo di dollari in Francia; contemporaneamente Caisse des Depots, la cassa degli affari statali francesi, sta guidando un gruppo di aziende come Axa e Aeroport de Paris in un investimento da 150 milioni di dollari in Kingdom Holding, il fondo di Alwaleed bin Talal, businessman che domenica scorsa è stato fatto arrestare per corruzione (e per repressione) da bin Salman.