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Vi racconto gli ultimi sganassoni ricevuti dalla Fiom nelle fabbriche

Maurizio Landini, Francesca Re David

Ribaltone alla GD, hanno titolato le pagine bolognesi dei quotidiani. Nelle elezioni della Rsu il sindacato di base, fino ad ora pressoché assente nelle aziende metalmeccaniche, ha sfondato alla GD divenendo la prima organizzazione. Quella fabbrica – appartenente al gruppo Seragnoli, di primaria importanza internazionale nella produzione di macchine automatiche per la lavorazione del tabacco, da sempre dominata dalla Fiom sul piano sindacale – ha costantemente espresso (sia pure in un contesto di conflittualità fisiologica) relazioni sindacali eccellenti, avendo a disposizione consistenti risorse da erogare al personale. Isabella Seragnoli, inoltre, è attiva in iniziative a favore del territorio. Non vi sono mai state situazioni di crisi produttiva ed economica tali da richiedere il ricorso ad ammortizzatori sociali. Negli anni scorsi la Fiom – quando sul piano nazionale era più marcata la divisione tra le federazioni di categoria ed era ricorrente la prassi degli accordi separati – era riuscita a negoziare con la direzione una procedura che, nei fatti, privilegiava, come base del negoziato, la piattaforma presentata dalla Fiom. Nelle settimane scorse era scoppiato un altro caso clamoroso: un accordo aziendale da manuale, universalmente giudicato molto avanzato, era stato approvato per un pelo, con poche decine di voti di vantaggio. Poi c’è stato lo shock della elezione della rappresentanza sindacale che ha dato i seguenti esiti: su 1.246 voti validi la USB, che non era mai stata presente, ne ha ottenuti 547, la Fiom 467 (la volta scorsa furono 774 su 993). Alla Fim sono andati 137 voti e 95 alla Uilm. Questi risultati modesti – ma pur sempre in lieve aumento – delle altre due federazioni (comunque largamente minoritarie) dimostrano che la crisi è tutta all’interno della Fiom che era il sindacato largamente egemone. Ed esplode all’indomani di un accordo aziendale di tutto rispetto. Il confronto più recente è con il 2012 quando il contratto integrativo fu promosso con il 94% dei consensi.

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La parte più innovativa e sperimentale dell’accordo è quella che riguarda gli orari di lavoro. Prevede che all’interno della fascia quotidiana di attività, dalle 7 alle 19, sia il dipendente a scegliere come organizzare le otto ore canoniche di turno, con 45 minuti di pausa pranzo. Ogni lavoratore, su base volontaria e con un periodo di sperimentazione che durerà 6-8 mesi prima che il sistema diventi definitivo, potrà infatti decidere se entrare subito e uscire prima o, viceversa, entrare più tardi magari per accompagnare i figli a scuola e poi trattenersi più a lungo sul posto di lavoro, così come spezzare diversamente mattina e pomeriggio. Esclusi gli operai impiegati nei turni. Inoltre, nel testo sono previsti progetti di alternanza scuola-lavoro, future sperimentazioni sullo smart working, un occhio di riguardo alla formazione con tutor esperti che insegnino ai più giovani e un intero capitolo su Industria 4.0, con tavoli di confronto periodico coi sindacati per discutere preventivamente delle ricadute delle trasformazioni tecnologiche introdotte. Ma ci sono anche più diritti individuali e un sistema di diritto allo studio per i dipendenti. Ricca la parte economica, con premi di risultato che aumentano tra 2018 e 2021 da 2.900 a 3.100 euro, un’una tantum da 800 euro e rivalutazioni dell’8% per i lavoratori trasferisti.

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Come si spiega questa débacle, improvvisa, inaspettata e ripetuta in forma ancora più netta nel giro di poche settimane? Il contratto aziendale approvato a fatica, l’ingresso trionfale dell’USB nella fabbrica fiore all’occhiello dell’industria bolognese e fortemente sindacalizzata. Su 36 delegati 16 vanno al sindacato di base. A questo punto per fare maggioranza la Fiom ha bisogno dei sette delegati (4 + 3) di Fim e Uilm, quando era abituata, da decenni, a fare da sé. Stavolta la Fiom ha eletto 13 delegati su 36 (col 37% dei voti).

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Il comunicato della Fiom territoriale è lo specchio di un’organizzazione che ha preso due sganassoni nel giro di pochi giorni senza sapere il perché. ‘’ Il clima degli ultimi giorni è stato la diretta conseguenza di quanto si è vissuto in GD nei giorni del voto sul recente Accordo aziendale, un voto che ha consegnato una fabbrica spaccata, e che ha registrato un elevato livello di dissenso. Abbiamo visto un tentativo di attaccare il sindacato confederale e i suoi delegati. Quel clima ha prodotto una forma di vero e proprio “populismo sindacale” che si è tradotto anche nel voto per la RSU. E’ evidente – aggiunge il comunicato – che c’è un rapporto con i lavoratori da ricostruire e questo sarà il primo dei nostri compiti ed impegni. Indubbiamente si tratta di una sconfitta’’.

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Già il ‘’populismo sindacale’’. Chi lo insegue – magari con più rigore e competenza dei demagoghi da strapazzo – prima o poi finisce per esserne travolto dove meno se lo aspetta. L’exploit della USB ricorda, sul piano politico, quello del M5S. Che ci siano delle analogie e dei collegamenti?


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