Sono due mondi destinati a non capirsi, Matteo Renzi e Gianni Cuperlo. Due universi distinti e paralleli con il primo cresciuto negli scout e nella Margherita e che ha fatto della rottamazione il ritmo del suo incedere politico; il secondo che invece ha percorso tutta la trafila della vecchia scuola Pci. Alla presentazione del suo libro – Sinistra e poi. Come uscire dal nostro scontento – a Montecitorio, l’esponente della minoranza Pd ex dalemiano di ferro ricorda bene quanto poteva essere severa quella scuola. “Il primo giorno che misi piede nella direzione del Pci, alle Botteghe Oscure, si votata per decidere cosa fare sul referendum della scala mobile. Per prassi il segretario non votava, ma quella volta Berlinguer lo fece e la sua mozione passò per un voto…”, rammenta Cuperlo, giusto per far capire al suo interlocutore da che pasta è stato forgiato.
Un filo rosso, però, li tiene insieme, Cuperlo e Renzi. L’ex dalemiano, nonostante gli abbia detto cose violentissime in varie direzioni del partito, non ha lasciato il Pd, non se n’è andato con gli altri, gli scissionisti. E Renzi di questo gli è grato. Per questo lo rispetta. E con lui, a differenza degli altri che non vuol vedere manco in fotografia (e infatti ha mandato a trattare Piero Fassino), il segretario si confronta. E gli piace, lo trova stimolante.
Detto questo, i problemi restano tutti sul tavolo. “Tu che sei il segretario dovevi ascoltarci di più, perché se io muovo una critica alle tue politiche, nella mia critica puoi trovare qualcosa di buono. E invece ci hai fatto sempre passare per gufi, per sabotatori”, dice Cuperlo. “Io ascolto, ma quando poi si prende una decisione con un voto, non puoi ricominciare a criticare per distruggere tutto”, ribatte Renzi.
Al centro della scena, naturalmente, le alleanze. “Per me la scissione è una ferita dolorosa. E per te è una pesante sconfitta. Non posso pensare di fare la prossima campagna elettorale contro Bersani e D’Alema. Con, oltretutto, la conseguenza di regalare il Paese agli altri: a Berlusconi, probabilmente, oppure a Grillo. Tu dici che non ti occupi di alleanze perché pensi ai problemi veri della gente. Ebbene, per occuparti delle persone in primo luogo pensa a ridare anima alla sinistra, a elaborare un pensiero e a collegarlo a un popolo. Le alleanze servono a vincere le elezioni e vincere le elezioni significa tornare al governo per fare le tue politiche. È in questo modo che si aiutano le persone”, gli dice Cuperlo. “Ho solo detto che, se da qui alle elezioni parliamo solo di alleanze, la gente non ci vota”, replica Renzi. “Ma tu sei il segretario, è tuo compito cercare di costruire una coalizione di centrosinistra credibile, anche per gli elettori. Rimettiti al telaio e inizia a tessere la tela”, ancora Cuperlo. “Ma più che dire che sono disposto a non tornare a Palazzo Chigi, che devo dire? Se mi chiedete di abiurare Job Act o Buona Scuola, allora dico no. Non posso tornare indietro sulle riforme di cui sono orgoglioso”, dice Renzi.
La sensazione è che le due linee siano destinate a non incrociarsi mai. E proprio in questo dibattito si è capito che a Renzi di riallacciare un’alleanza con Mdp non gli importa granché. Preferisce, forse, perdere bene per portare in Parlamento una truppa di fedelissimi, che risponda solo a lui. Magari lasciando qualche briciola alle minoranze. Come Cuperlo. Insomma, l’impressione è che il deputato soffra davvero per questi continui strappi, che li reputi un fallimento del partito in cui milita e del segretario che lo guida. Renzi, invece, sembra osservarli da lontano, quasi che la cosa non lo riguardasse. Salvo poi intervenire mettendo i piedi nel piatto per dire: i cattivi sono loro, sono loro che non vogliono stare con noi. Alla fine, però, Cuperlo conclude il libro con una nota di speranza, parlando di raggi di sole che filtrano dalle nubi. “Sì, ma per uscire dal nostro scontento bisogna apprezzarli quei raggi di sole”, chiosa il segretario. Sipario e stretta di mano. Poi ognuno ritorna nel suo mondo.