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Carife, ecco le nuove crepe tra Bankitalia e Consob

Dopo due anni il Parlamento accende finalmente una luce sul caso delle quattro banche popolari salvate per decreto nel novembre 2015 a caro prezzo. Vale a dire Carife (Ferrara), Banche Marche, Carichieti e la più nota Banca dell’Etruria. Forse, il caso più emblematico della vicenda vissuta da migliaia di risparmiatori colpiti dai crack bancari di questi ultimi anni. In attesa di ascoltare il ministro Pier Carlo Padoan su Mps (qui lo speciale di Formiche.net), questa mattina la commissione banche presieduta da Pierferdinando Casini (nella foto), ha appreso dalla viva voce di Patrizia Castaldini e Stefano Longhi, rispettivamente procuratore della Repubblica e sostituto procuratore presso il Tribunale di Ferrara, la verità, o parte di essa, sul crack di Carife.

PROCESSO NEL 2018

Per cominciare, uno sguardo alla tabella di marcia della magistratura che indaga sul disastro della Carife. A breve la Procura chiuderà i primi faldoni sulla banca, con la richiesta dell’udienza preliminare. Il tutto per dare vita al processo che si terrà verosimilmente a partire dalla prima metà del 2018 e che vedrà 1.300 parti offese, oltre a enti e associazioni di risparmiatori, che si sono costituite parte civile. Ma perché la banca emiliana è saltata? Due i fattori principali: maxi-perdite causate da crediti svalutati perché in sofferenza e un aumento di capitale mascherato a dovere alle autorità di vigilanza, utilizzato per tentare di tappare i buchi. Meglio procedere per ordine.

PERCHE’ CARIFE E’ SALTATA

La crisi di Ferrara nasce dopo l’aumento di capitale da 150 milioni del  2011, da un’ispezione della Banca d’Italia che si chiude nel  febbraio 2013 e che porta pochi mesi dopo, nel giugno 2013, al commissariamento della banca. Fino alla risoluzione coatta del novembre 2015 a mezzo decreto, che ha applicato il contestato meccanismo del burden sharing (obbligazioni in cambio di azioni ma con un taglio del loro valore). Un tentativo di salvataggio del Fondo interbancario da 300 milioni nel frattempo era fallito per l’opposizione di Bruxelles. Tutto ciò alla luce di un bilancio 2012 chiuso con una perdita record di oltre 104 milioni rispetto a quella di soli 3,7 milioni dell’anno precedente a  seguito di svalutazioni di crediti balzate da 45 a 228  milioni a causa di crediti deteriorati al comparto immobiliare.

IL TEMPISMO DI BANKITALIA

Non sono certo tempi facili per la Vigilanza bancaria italiana, finita nel tritacarne sul disastro delle banche venete. Eppure, almeno a sentire il procuratore Castaldini, questa volta la tempistica è stata azzeccata. Su Carife l’indagine della magistratura ha infatti “trovato una suo sviluppo dopo l’esito dell’ispezione della Banca d’Italia, effettuata presso la banca nel 2009”. Dunque, qualche problema era emerso già tre anni e mezzo prima della seconda ispezione che decretò il commissariamento dell’istituto. “L’organo di vigilanza aveva segnalato una situazione grave in cui versava l’istituto e l’intero gruppo bancario, sotto il profilo sia gestionale che patrimoniale. In sede ispettiva era stato anche accertato un forte deterioramento del portafoglio creditizio, che era da imputarsi a condotte degli amministratori”.

IL CASO DELL’AUMENTO FITTIZIO

Non ci sono solo le maxi-perdite generate da crediti deteriorati ad aver affondato Carife. Come detto c’è un’altra questione. Alla discesa verso l’abisso ha contribuito anche un aumento di capitale che però con una vera ricapitalizzazione non aveva nulla a che fare. In particolare, alcune banche esterne (CariCesena, Banca Valsabbina, Popolare di Bari, Popolare di Cividale) avrebbero partecipato all’aumento da 150 milioni, nel 2011, con una operazione incrociata, ritenuta fittizia, di sottoscrizione di azioni poi compensate loro da Carife con triangolazioni ritenute sospette. “Dalle indagini è emersa una formazione fittizia di capitale”, ha spiegato Castaldini, “perchè l’importo apparentemente investito in Carife dalla Cassa di Risparmio di Cesena e dalla Banca Popolare Valsabbina è stato compensato quasi in maniera istantanea dalla sottoscrizione da parte della banca ferrarese di azioni di Cesena e Popolare Valsabbina”. Uno scambio troppo veloce che ha insospettito i magistrati, per i quali “è emerso come i vertici Carife, in concorso con i vertici delle altre banche, avevano cagionato il dissesto attraverso, appunto, questo aumento fittizio di capitale sociale”.

LE BUGIE SULLA RICAPITALIZZAZIONE

Non finisce qui, la cassa di Ferrara mentì sulla contestata ricapitalizzazione del 2011. Mascherando l’operazione come un’irrobustimento per farsi trovare pronta in vista di Basilea 3. Ma in realtà, hanno fatto notare i magistrati, il tutto servì per coprire le maxi-perdite sui crediti incagliati. Lo ha spiegato la pm Barbara Cavallo (nella foto durante l’audizione) agli stessi deputati e senatori della commissione, puntando il dito contro la motivazione ufficiale della ricapitalizzazione annunciata da Carife nei comunicati stampa relativi all’aumento. Ovvero, anticipare il rafforzamento  patrimoniale della banca, in realtà tutta l’operazione era  frutto di un diktat di Banca d’Italia che a fronte del  deterioramento del credito e di altri problemi della banca  aveva chiesto un aumento da almeno 150 milioni.

LE FALSE INFORMAZIONI ALLA CONSOB

Di qui a fornire false informazioni alla Consob sull’aumento del 2011 il passo è stato breve. Secondo il procuratore Castaldini, dalle indagini “è emerso inoltre anche un falso prospetto informativo, che era stato depositato presso la Consob, relativo all’offerta di azioni Carife nell’ambito dell’operazione di aumento di capitale sociale, in quanto gli azionisti non venivano correttamente informati sul reale stato patrimoniale della società, quindi il grave dissesto, e sui dati reali dei bilanci che erano stati depositati. Quindi, venivano occultate ai sottoscrittori delle azioni – praticamente la collettività, le famiglie e le imprese – le reali condizioni di rischio che venivano ad assumere attraverso l’acquisto di azioni”. In pratica, le stesse bugie raccontate nei comunicati.

LE NUOVE CREPE NELLA VIGILANZA

Insomma, c’è un po’ di tutto nel menù della magistratura che indaga su Carife.  Falso in
prospetto, aggiotaggio reiterato, ostacolo alla Vigilanza e  bancarotta fraudolenta per aumento fittizio di capitale. Ma l’audizione in commissione ha riservato altro. Ancora una volta sono infatti emerse le crepe nella Vigilanza, che già sono costati duri scontri tra Consob e Bankitalia (qui il focus). Stesso copione di Popolare di Vicenza anche per Carife? Pare proprio di sì. La Banca d’Italia “non comunicò alla Consob le raccomandazioni che aveva fatto a Carife nel corso del 2010 e 2011 sulle modalità che avrebbe dovuto seguire nell’aumento di capitale da 150 milioni poi realizzato”, ha rivelato il pm Cavallo. “Quando c’è l’interlocuzione, Bankitalia comunica a Consob tutte le criticità della banca, le sintesi dell’ispezione del 2009, le criticità su crediti, sull’organizzazione e la gestione”. Poi, l’affondo. Le informazioni in questione erano “assolutamente rilevanti che avrebbero inciso sulla valutazione del rischio da parte degli investitori” e avrebbero indotto la Consob a “richiedere un aggiornamento del prospetto informativo”.ù

SIRENE FRANCESI

Cassa di risparmio di Ferrara era entrata poi in contatto con la banca francese Natixis, anche perché Carife era stata “sollecitata da Banca d’Italia per la ricerca di un partner”, soprattutto per risolvere il problema dei crediti deteriorati, ha concluso Cavallo.

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