L’Italia è tornata a crescere. Parola del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che intervenendo in chiusura dell’evento “L’idea democratica e l’avvenire dell’Europa”, organizzato dal Partito democratico europeo (Pde) al Tempio di Adriano a Roma, ha voluto dare rassicurazioni sull’uscita del Paese dalla crisi. Il trend italiano – ha spiegato il premier – va di pari passo con la ripresa dell’Eurozona, “che quest’anno crescerà probabilmente più degli Stati Uniti”. A suo dire le stime di un anno fa, che parlavano di un tasso di crescita dello 0,8%, sarebbero errate, perché oggi l’Italia vanta “una crescita più vicina al 2%”. Tanto basti per rassicurare chi guarda con preoccupazione all’instabilità dello scenario post-elezioni, che rischia di non produrre, ancora una volta, un vincitore. “Non guardate alla frequenza dei governi perché è una tradizione italiana da 70 anni, siamo abbastanza vaccinati”, ha scherzato Gentiloni.
Presentato fra gli applausi generali da Francesco Rutelli, presidente del Pde insieme a Francois Bayrou, Gentiloni ha incentrato il suo intervento sulle sfide che impongono un ripensamento dell’Unione Europea, un tema che può risultare decisivo per la campagna elettorale dei prossimi mesi. A cominciare dalla Brexit, il divorzio britannico da Bruxelles che questa mattina sembra aver concluso la sua fase più spinosa, quella del conto da pagare per abbandonare l’Ue (qui l’intervista di oggi a Giulio Sapelli). Un primo passo che il premier italiano ha salutato “con un giudizio positivo, perché la Commissione ha registrato progressi sufficienti su tre punti, l’Irlanda, le somme dovute all’Ue, la situazione dei cittadini europei, per passare alla fase transitoria”. In questa prima fase negoziale, che più di una volta ha rischiato di arenare le trattative, “l’Italia non è mai stata per un no-deal”, ha aggiunto Gentiloni.
L’esito del referendum sulla Brexit ha costituito “uno shock” per l’Europa, solo parzialmente curato dal “risultato sorprendente ed entusiasmante delle elezioni francesi”. Ma non c’è stato, come in molti avevano previsto, un effetto domino sugli altri Paesi membri. Se è vero infatti che la Brexit “ha aperto una pagina complicata nella storia recente del Regno Unito”, il referendum “non ha certo dato avvio a una marcia trionfale dei sostenitori del Leave” ha chiosato il premier.
Per Gentiloni rimettere l’europeismo al centro della propria proposta politica è il primo argine per delegittimare i populismi. Per farlo, è necessario rispondere “alla grande domanda di Europa” riformando e rendendo più efficienti le istituzioni comunitarie nel loro punto più debole, l’unione economica e monetaria, per evitare che il 2018 “riporti la situazione alla paralisi, alla lentezza, alle mancate risposte”.
In questa direzione – ha ammesso il titolare di Palazzo Chigi – “le proposte della Commissione sull’unione monetaria, sul Fondo europeo, sono una buona base di partenza”. Quanto alle politiche fiscali, piace meno al governo italiano l’idea, di provenienza francese, di un ministro delle Finanze unico. “Non abbiamo bisogno di un controller dei bilanci degli altri Paesi, possiamo farne a meno”. ha chiarito Gentiloni, concludendo: “Abbiamo sempre rispettato le regole e non abbiamo nulla da temere”.