Fatte – come si deve dire in questi casi – le debite proporzioni (non è mai bene esagerare), la guerra dichiarata ai vitalizi degli ex parlamentari ed ex consiglieri regionali si basa su di una campagna politica e mediatica costruita ad arte al solo scopo – ecco il paragone con il famigerato falso storico dei Protocolli – di screditare, diffamare e perseguitare – magari da anziano o da vecchio – chi ha rappresentato la nazione all’interno di un’Assemblea elettiva. Ci si faccia caso: passa in secondo piano il trattamento economico che viene percepito durante la permanenza in carica. Gli attacchi – in nome di una lotta ai privilegi – si sviluppano sull’oggetto del desiderio che accompagna gli italiani “dalla culla alla tomba”: la pensione, intendendo per essa qualunque prestazione economica conseguita a conclusione di un’attività lavorativa.
A proposito dei cosiddetti vitalizi, a Matteo Richetti (prima o poi qualcuno scriverà la commedia: “L’importanza di chiamarsi Matteo”) primo firmatario di un disegno di legge che viola la Costituzione formale ma è perfettamente in linea con quella materiale di nuovo conio, si potrebbe obiettare anche lo storico anatema “Vile! Tu uccidi un uomo morto”, poiché i vitalizi sono stati aboliti – ahimè solo pro rata – a partire dal 1° gennaio 2012. Ma un’etica superiore impone che agli ex parlamentari – proprio per renderli uguali ai comuni cittadini – sia applicato retroattivamente un regime di quiescenza fatto apposta solo per loro, che, da uguali ritornano alla fine del tutto diversi, come stabilisce il comma 5 dell’articolo 12 del AS 2888, conforme al testo approvato dalla Camera: “In considerazione della difformità tra la natura e il regime giuridico dei vitalizi e dei trattamenti pensionistici, comunque denominati, dei titolari di cariche elettive e quelli dei trattamenti pensionistici ordinari, la rideterminazione (ovvero il ricalcolo col metodo contributivo, ndr) di cui al presente articolo non può in alcun caso essere applicata alle pensioni in essere e future dei lavoratori dipendenti e autonomi”.
È probabile che – vista la ristrettezza dei tempi – la “legge Severino delle pensioni” non riuscirà ad essere approvata; ciò costituirà comunque un tema cruciale della campagna elettorale, dando filo da tessere ai moral-populisti che fanno di questi temi il loro cavallo di battaglia. Staremo a vedere. Nel frattempo è opportuno far sapere che forme di tutela economica delle persone che hanno svolto funzioni elettive non sono un vizio del Belpaese dei privilegi, ma una pratica operante e diffusa anche in altri ordinamenti di solito citati ad esempio per le loro virtù politiche e civili.
Ed è di queste pratiche che intendiamo parlare avvalendoci del materiale raccolto in un Dossier del Servizio Studi del Senato. L’obiettivo che ci poniamo non è quello di fare dei confronti tra i diversi regolamenti: a suo tempo non c’è riuscita neppure una Commissione presieduta da Enrico Giovannini – allora alla guida dell’Istat – che concluse i suoi lavori gettando la spugna. Ci interessa soltanto ristabilire un minimo di verità. Come si vedrà l’istituto che ricorre in tutti gli ordinamenti con caratteristiche analoghe non è quello del pensionamento bensì quello dell’indennità di reinserimento dell’ex parlamentare non più rieletto. L’istituto che in Italia ha sollevato una più marcata disapprovazione farisaica nell’ambito della “caccia alle streghe” in corso.
(Primo estratto di un’analisi più ampia)