“Fa male vedere la voce che diventa inchiostro in una conversazione tagliuzzata con una persona cara come tuo padre”. Così il segretario del Pd Matteo Renzi, intervenendo martedì pomeriggio alla Luiss durante la presentazione del libro della giornalista Annalisa Chirico “Fino a prova contraria” (Marsilio), è tornato sul caso Consip e sulle intercettazioni telefoniche con suo padre Tiziano pubblicate dal Fatto Quotidiano. Intervistato dal direttore del Messaggero Virman Cusenza, l’ex primo ministro non ha lesinato dure critiche ai tribunali, veri o mediatici che siano, che troppo frettolosamente, ovvero prima del terzo grado di giudizio, esigono lo scalpo di chi è indagato.
Sull’inchiesta Consip, che martedì è tornata sulle prime pagine a seguito della sospensione dei carabinieri del Noe Gianpaolo Scafarto e Alessandro Sessa, Renzi si è limitato a chiosare: “Se emergerà che qualcuno ha tradito il proprio giuramento è giusto che paghi”. Nel mirino del suo intervento, anche se non è mai stato nominato esplicitamente, è parso esserci in particolare il quotidiano diretto da Marco Travaglio. “Quando tu accetti di non andare incontro ai problemi, ma di guardarli dal buco della serratura, quando di un episodio ignori il contesto, quando dopo anni di mostro sbattuto in prima pagina, a una assoluzione dedichi due righe, siamo in presenza di un limite della comunicazione”, ha attaccato il leader del Pd.
Politici, giornalisti e magistrati, tutti sono responsabili della frequenza con cui oggi si è esposti alla gogna pubblica. Per l’occasione Renzi ha rispolverato il “non ci processerete nelle piazze” gridato dall’ex presidente del Consiglio Aldo Moro a seguito dello scandalo Lockheed, ma anche il discorso di Bettino Craxi al parlamento del 1993, anno a partire dal quale, secondo l’ex premier, “La politica ha smesso di avere un’alterità verso la magistratura”.
Poche concessioni alla polemica politica. Incalzato da Cusenza sui Liberi e Uguali di Pietro Grasso, Renzi ha preferito non affondare. Non lo ha fatto neppure sul Movimento Cinque Stelle che, pur senza riferimenti diretti, è stato bersagliato a più riprese dal segretario Dem, specie quando ha puntato il dito su “alcune forze politiche i cui leader dicevano che per un avviso di garanzia ci si dimette e adesso sono indagati”. Chiedere le dimissioni per chi viene indagato, ha aggiunto, è “una barbarie”, “una bestialità giuridica che non sta né in cielo né in terra”.
Anche la magistratura, “l’unico posto dove le correnti hanno ancora un ruolo”, ha concluso l’ex premier, non è esente da colpe per aver maturato un rapporto di reciproca dipendenza dal mondo politico. Una tesi sposata in pieno dai due giuristi invitati alla presentazione del libro della Chirico: l’ex procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio e il rettore della Luiss Paola Severino. Nordio ha in particolare puntato il dito contro i magistrati scesi in politica, a cominciare dal presidente del Senato Pietro Grasso. “Mi risulta che il presidente Grasso sia entrato in politica pochi giorni dopo aver lasciato la toga su richiesta di Bersani” ha commentato l’ex magistrato, “conosciamo la sua caratura morale, ma non è bello, si ha la sensazione che in Italia la divisione dei poteri di Montesquieu non sia poi tanto vera”.