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Pechino occupa il Mar Cinese Meridionale

La scorsa settimana il think tank americano Center for Strategic and International Studies ha pubblicato un report sul procedere dell’espansione militare che Pechino sta spingendo nel Mar Cinese Meridionale. Una “slow-moving crisis“, la definisce il CSIS, centro studi diretto da John Hamre, considerato uno dei tre migliori al mondo. Il succo dell’analisi, che riporta dati quantitativi, tra cui: “La Cina ha creato strutture militari circa quattro volte più grandi di Buckingham Palace sulle isole contese”, come le descrive il Guardian, è semplice: mentre tutto il mondo era concentrato su come contrastare una Corea del Nord atomica, Pechino ha portato avanti i suoi interessi strategici, ed ecco i risultati di quest’anno.

UNA ROTTA CENTRALE

Il Mar Cinese Meridionale è una rotta nevralgica per il commercio mondiale e i suoi isolotti sono gli elementi di una controversia tra Stati che coinvolge tanto la Cina quanto il Vietnam, le Filippine, Taiwan, e nelle porzioni settentrionali anche il Giappone. Per capire quanto questa situazione possa essere vicina anche agli interessi italiani, nonostante quel mare sia distante migliaia di miglia nautiche da Roma: le merci Made in Italy che viaggeranno via mare sotto l’accordo di libero scambio tra UE e Giappone (chiuso definitivamente nei giorni scorsi e operativo dal 2019) potrebbero solcare tratti che informalmente non saranno più acque internazionali, ma si troveranno sotto la giurisdizione de facto cinese, ottenuta con l’occupazione militare. Non è un caso, infatti, se lo studio del CSIS è stato condotto dalla Asia Maritime Transparency Initiative interna al think tank. Gli Stati Uniti hanno fatto navigare più volte il cacciatorpediniere della Settima Flotta del Pacifico tra queste isole, proprio per riaffermare il diritto alla navigazione in queste acque internazionali su cui la Cina vuole giurisdizione.

UNA REGIONE INFIAMMABILE

Questa “crisi lenta” si piazza in uno dei “più pericolosi punti di infiammabilità internazionale” – come lo ha descritto l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon – e sebbene per il momento non attiri l’interesse delle cronache, è destinata a segnare il futuro equilibrio in una regione delicatissima, dove sta anche irrompendo la politica aggressiva degli Stati Uniti. Proprio Bannon è stato uno dei costruttori della linea anti-cinese che a breve potrebbe definitivamente concretizzarsi in policy a che se la Casa Bianca per il momento non ha inquadrato la Cina come una “minaccia”, ma come un concorrente. E la militarizzazione delle isole contese del Mar Cinese è tra le leve che per alzare il livello del confronto con Pechino.

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LA MILITARIZZAZIONE…

I dati dell’analisi del CSIS – che si basa su osservazioni satellitari e su informazioni costantemente raccolte – dicono che soltanto nel 2017  la Cina ha costruito circa 29 ettari di impianti militari (questa spinta potrebbe legarsi alla cortina fumogena creata dalla crisi nordcoreana che ha spostato su Pyongyang le attenzioni regionali). Pechino ha creato nuovi depositi di munizioni, postazioni con sensori e sistemi radar, rifugi antimissili; già presenti invece piste di decollo, in continuo ampliamento (ora possono permettere il lancio dei più tecnologici caccia-bombardieri cinesi), e punti d’attracco per barche e sottomarini. In pratica, strutture di comunicazione, logistica, raccolta di informazioni, abbinate alla deterrenza legata alla presenza armata. Secondo il più approfondito studio del dipartimento della Difesa americano, reso pubblico lo scorso anno, queste “portaerei inaffondabili” (come le chiamano i cinesi) hanno strappato al mare circa 1280 ettari soltanto su tre isolotti delle Spratley, le più corpose tra le isole contese – ma, per esempio, c’è un’altra grande installazione a Woody Island, nell’arcipelago della Paracels, dove la Cina ha piazzato batterie anti-aeree.

… NEGATA DA PECHINO

La presenza militare nelle isole non garantisce di certo i diritti rivendicati, ma se li prende con prepotenza migliorando significativamente il ruolo di Pechino in quelle porzioni di mare, ha spiegato il Pentagono. Ufficialmente i cinesi dicono che le strutture costruite hanno scopi civili e servono come rifugio per i pescatori (quelle acque, oltre che nevralgiche per i trasporti globali, sono anche ricche di pesci, e racchiudono nei fondali materie prime energetiche); le armi sarebbero soltanto lì come difesa per i pescherecci. Washington sostiene che queste iniziative sono funzionali “ad aumentare la gamma di capacità disponibili per la Cina e ridurre il tempo necessario per la loro distribuzione”, sono “tattiche coercitive”, ma la Cina si muove sempre con massima accortezza restando sotto la soglia di guardia del provocare un conflitto.

 


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