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La missione italiana in Niger? Una decisione coraggiosa. Parola del generale Cabigiosu

La missione italiana di contrasto al traffico umano e al terrorismo in Niger annunciata dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sarà “no combat”. Ad annunciarlo il generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa, che ha anche previsto un contestuale alleggerimento dei contingenti italiani in Afghanistan e Iraq. I primi a partire, agli inizi di febbraio, saranno i reparti del genio militare e i paracadutisti della Folgore per un totale di circa 120 unità, accompagnati da due velivoli e due squadre di protezione. Entro la fine dell’anno la quota di soldati italiani dovrebbe raggiungere le 470 unità, che andranno a supportare le truppe francesi e africane già stanziate per contrastare i terroristi del Sahel. L’annuncio del generale Graziano non ha mancato di dividere l’opinione pubblica, suscitando entusiasmo fra chi vede nell’iniziativa italiana il trampolino per lanciare una nuova strategia per l’Africa e bloccare il traffico di esseri umani e chi invece teme che la presenza tricolore possa destabilizzare ulteriormente il Niger ed esporre i soldati italiani alla violenza terroristica. Tra i primi si schiera senza dubbio il generale Carlo Cabigiosu, già capo della missione Nato Kfor e comandante del Comando Operativo di vertice Interforze nonché già coordinatore delle missioni militari italiane all’estero (oltre 10.000 uomini) e delle missioni a partecipazione italiana. In questa conversazione con Formiche.net ci spiega perché.

Generale, come giudica la nuova missione italiana in Niger?

Prima di tutto è stata una decisione ottima e molto coraggiosa, perché rappresenta un passo ulteriore per prendere il controllo di una situazione estremamente incerta di tutta la regione che va dalla Libia fino all’Africa meridionale. Alle spalle di questa decisione ci sono accordi con la Francia, che già opera in quell’area, dunque non saremo soli. È un’ottima mossa dell’Italia, che già si prende carico di quasi tutti i migranti che arrivano via mare, ed è un punto di riferimento in Libia, grazie all’ospedale militare vicino a Sirte e al continuo dialogo diplomatico delle nostre autorità governative con Haftar e al-Sarraj.

Crede sia opportuno sottrarre soldati italiani dall’Afghanistan e dall’Iraq?

In Iraq l’Isis è stato sconfitto, c’è la necessità di dare sicurezza alle vite italiane che lavorano alla ricostruzione della diga di Mosul, così come bisogna dare un contributo alle forze di sicurezza irachene, ma tutto questo si può fare con un numero di uomini inferiore a quelli attualmente schierati. Quanto all’Afghanistan, siamo i secondi contributori di forze militari dopo gli Stati Uniti, se vogliamo avere l’appoggio statunitense in altre aree dobbiamo mantenere una certa presenza.

C’è il rischio che l’Italia operi in Niger in funzione del tutto gregaria rispetto alla Francia, lasciando in mano all’Eliseo le redini delle operazioni?

Questo dipende dalle nostre autorità di governo. Sicuramente in questo periodo che precede le elezioni l’autorità dei nostri politici e governanti risulta diminuita rispetto a Macron. Molto dipende anche dai nostri comandanti sul terreno, che con la loro esperienza possono far valere l’agenda italiana e non aggregarsi solamente a quella francese.

Quest’ estate c’erano state frizioni con l’Eliseo sulla strategia per la Libia…

Nei mesi trascorsi da quest’estate ad oggi c’ è stato un mutamento di rotta nell’impegno italiano per far sì che la danza non fosse solo condotta dai francesi. Anche questa missione è un passo aggiuntivo rispetto alla presa di posizione che il nostro governo ha già voluto affermare.

Inviare truppe in Niger può risolvere alla radice il problema dei flussi migratori?

Io ritengo che si debba scoraggiare questi flussi il più lontano possibile dalla costa, perché una volta che questa povera gente è arrivata sulle coste del Mediterraneo viene presa dai libici e messa in campi non adeguati con un futuro incerto. Meglio che si sappia anche a Sud del Sahara che c’è un filtro che blocca i flussi verso la costa mediterranea. Credo che l’Onu dovrebbe giocare un ruolo più decisivo, essendo più presente là dove si costituiscono questi campi, impegnandosi anche finanziariamente per far sì che siano meglio organizzati.

Ancora una volta si parla di strategie nazionali, non europee, per l’Africa.

L’Unione Europea deve far qualcosa di più: non parliamo solo di contingenti militari, ci sono azioni sul piano prettamente civile e sociale, come scavare i pozzi o costruire le strade per le popolazioni locali. Non dimentichiamo che gli africani nel giro di trent’anni da 900 milioni diverranno quasi 2 miliardi: se questi giovani non avranno prospettive, la pressione sull’Europa non potrà che aumentare. Forse è arrivato il momento che l’Italia dica a quei Paesi dell’Unione Europea che non hanno voglia di accogliere nessuno: perché allora non contribuite anche voi con vostri contingenti per garantire la stabilità dell’Africa centro-settentrionale?

Il generale Graziano ha assicurato che sarà una missione no combat. Quali rischi corrono i militari italiani in Niger?

Ci sono sempre dei rischi. I nostri soldati partiranno preparati per ogni emergenza, ma il loro compito principale sarà quello di contribuire all’addestramento delle forze locali e fornire mezzi tecnologici come droni, radar per l’avvistamento di persone in movimento, ricognizione aerea ed elicotteri per agevolare il compito dei nigerini, che non ne sono in possesso. I nostri ufficiali stanno valutando tutti i rischi e le migliori mosse perché tutto avvenga in sicurezza.

 


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