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Perché Vladimir Putin ha visitato a sorpresa la Siria

Il presidente russo Vladimir Putin ieri è atterrato con un volo speciale alla base aerea di Hmemin, nella provincia siriana di Latakia. La visita a sorpresa del capo del Cremlino nell’hub russo in Siria è assolutamente significativa, e Putin non ha perso tempo nel sottolineare questo aspetto simbolico, annunciando il ritiro delle truppe.

LA VITTORIA

È la formulazione definitiva della vittoria finale in Siria: Putin intima alle truppe di tornare a casa due giorni dopo che il ministero degli Esteri russo tramite il molto-assertivo account dell’ambasciata di Londra ha fatto uscire un tweet dal contenuto altrettanto simbolico. Il testo recitava la vittoria, con per foto una scritta, “Mission accomplished”, missione compiuta, lo stesso messaggio che faceva da sfondo al famoso discorso dal ponte della portaerei “USS Lincoln” con cui George W. Bush il primo maggio del 2003 annunciò la presa dell’Iraq e la fine dei combattimenti. Inutile aggiungere che la situazione irachena era tutt’altro che compiuta dopo la caduta di Saddam, e la missione americana continuò per anni, combattendo anche contro gli insorti che poi, una decennio dopo, diedero vita allo Stato islamico; da qui la beffa russa nell’usare la stessa semantica.

LA DIFFUSIONE DEL MESSAGGIO

Dalla Russia arriva il segnale condiviso in tutto il mondo anche grazie ai fan del presidente autoritario che Putin incarna e al trolling di stato con cui viene diffusa la propaganda russa: abbiamo vinto in Siria, il governo legittimo è in piedi, abbiamo sconfitto i terroristi. Con distinguo: Mosca ha sicuramente vinto la guerra civile siriana, il suo intervento massiccio dal 2015 in avanti ha schiacciato ogni genere di opposizione che si ribellava al rais Bashar el Assad, ma il terrorismo rappresentato dallo Stato islamico è altro affare. Il Califfato è stato schiacciato dalla campagna di precisione portata avanti dalla coalizione internazionale guidata dagli americani, anche perché fino a pochi mesi fa la Russia non si era concentrata sull’IS se non in quelle circostanze – rare – in cui la presenza dei baghdadisti si sovrapponeva agli interessi di Damasco (e dunque di Mosca).

LA LIBERAZIONE FINALE

Nelle ultime settimane, poi, i russi hanno alzato il livello dell’impegno contro il Califfato – anche perché ormai coloro che si ribellavano al regime, anche i più radicali estremisti, sono stati rinchiusi in una sorta di parco nazionale dei ribelli in un’area della provincia di Idlib. Il presente ci dice che le operazioni russe hanno liberato le ultime fette di territorio occupate dall’infestazione baghdadista, e dichiarato la vittoria sull’IS; ma in realtà tutto il resto del territorio siriano è stato liberato dall’azione delle milizie curdo-arabe supportate dagli americani al nord, compreso nella capitale Raqqa, e la catena di comando del Califfo è stata disarticolata dai missili dei velivoli senza piloti americani che hanno decimato la leadership. Su questo, ancora un esempio: mesi fa il ministero della Difesa russa annunciò di aver “probabilmente” ucciso Abu Bakr al Baghdadi. La notizia era completamente priva di fondamento – e infatti il Califfo settimane dopo pronunciò un discorso audio con i tipici riferimenti all’attualità per confermare che ancora era in vita. La morte del Califfo tuttavia riempì le pagine di molti media internazionali, spesso disattenti sul distinguere lo spin (la propaganda) del Cremlino dalla realtà, e Mosca non l’ha mai smentita ufficialmente (ad oggi, per il fan medio di Putin, la Russia non ha solo liberato la Siria, guidata da un governo legittimo e non da un regime, ma ha anche ucciso il Califfo).

GLI INTERESSI DI PUTIN

Ora Putin pensa al futuro. La vittoria siriana, propaganda compresa (propaganda perché già l’anno scorso annunciò un ritiro delle truppe, una vittoria e per tutto quello appena detto, ma per la Russia è una vittoria di certo), è stata la leva che ha permesso a Mosca di stabilizzarsi in Medio Oriente. I policy maker del Cremlino entrano accolti a porte aperte nelle corti del Golfo, perché la Russia è attualmente l’interlocutore d’obbligo per ogni questione regionale, scavalcando gli Stati Uniti in difficoltà diplomatiche. Putin si sente questo ruolo riconosciuto, e per questo cerca di dipingersi da arbitro e anche di smarcarsi dai partner più imbarazzanti e settari (al momento Mosca cerca più un equilibrio da controllare, che la destabilizzazione). In un’immagine: quando Putin è arrivato alla base di Latakia lunedì, ha abbracciato Assad con un gesto paterno che ha ripreso quello di poche settimane fa a Sochi (quando il russo ospitò il presidente siriano nel suo ritiro da relax per annunciargli i prossimi passi diplomatici sulla Siria).

LE IMMAGINI

L’abbraccio e la visita a sorpresa sono vettori comunicativi che stanno a significare che Mosca vuole il controllo siriano, e che lo terrà mantenendo Assad al potere, ma lo farà controllandolo. Altra immagine: quando Putin stava per andare davanti ai microfoni a parlare, Assad ha cercato di raggiungerlo, ma uno degli ufficiali russi lo ha fermato, tenendolo qualche metro dietro (poi è stato fatto salire su un palco, ma dopo che Putin aveva parlato). È un’altra immagine sul futuro della Siria-russa: Putin sa che Assad è impresentabile (anche se deve a Mosca la sua legittimazione, la possibilità di mostrarsi pubblicamente) e pure che significa “Iran”, il partner che è stato fondamentale con i suoi miliziani e i suoi soldati per riconquistare il controllo del paese, ma che al momento è complicato da gestire perché contro Teheran è in corso un confronto aspro portato avanti da sauditi ed emiratini e che segna il futuro mediorientale del post guerra siriana; quello in cui, comunque, la Russia non ritirerà le truppe del tutto, ma anzi avrà in Siria due hub, uno aereo a Hmemin e uno navale a Tartus per consolidare il ruolo acquisito (Putin in Siria è stato accompagnato dal ministro della Difesa, Sergei Shoigu). Una posizione guadagnata, che Putin userà anche come argomento durante la campagna elettorale per le prossime presidenziali.

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