L’Ilva e il Tap sono solo la punta dell’iceberg. Perché a ingessare l’Italia non ci sono solo i guai della Puglia, ma un grande malinteso di fondo. Frutto di colpe trasversali e una certa cultura della disinformazione, tutta politica. Ermete Realacci (nella foto), il rapporto tra industria e ambiente lo conosce bene. Presidente dell’omonima commissione alla Camera, è uno dei padri dell’ambientalismo italiano. E forse è proprio per questo che in questa intervista a Formiche.net attacca senza mezzi termini chi plasma l’ambiente a propria immagine e somiglianza per fermare crescita e progresso. Ma anche la politica ha i suoi scheletri nell’armadio.
Presidente, partiamo dall’Ilva…
Il ricorso di Emiliano (poi ritirato, ndr) è stata una mossa improvvida. Mi sembra fin troppo chiaro come ormai ci sia una vera e seria volontà di risanare il sito (ieri il governo ha inviato un protocollo che accelera i tempi del risanamento, ndr). Non siamo più negli anni ’60…
Si spieghi…
Le leggo una cosa. Nel piano regolatore per lo stabilimento Ilva di Porto Marghera, nel 1962, c’è scritto chiaro e tondo che nel sito “troveranno posto quegli impianti che diffondono fumo, esalazioni dannose e scaricano in acqua sostanze velenose e fanno rumore e vibrazioni”. Ora le chiedo, le pare che oggi 50 anni dopo a Taranto ci sia questa situazione? Andiamo su…
Allora perchè c’è chi vuole ancora spegnere l’Ilva?
Bisogna capire una volta per tutte che il risanamento a Taranto è stato avviato. Sono stati messi a disposizione 3 miliardi di euro dai Riva per avviare la bonifica. E oggi questo percorso è arrivato a delle svolte importanti, ce lo vogliamo mettere in testa oppure no? Le dico un’altra cosa. Pochi anni fa, nel 2013 ci fu a Taranto un referendum contro l’Ilva. Un flop, parteciparono in pochissimi. E allora di cosa stiamo parlando? E poi, diciamolo, all’Italia serve l’acciaio.
Allora il governo ha le sue ragioni…
Il governo ha certamente le sue ragioni se vuole davvero creare la miglior acciaieria d’Europa. E se lo vogliono i nuovi proprietari (Arcelor Mittal, ndr). Io per la verità apprezzavo anche l’altra cordata (quella semi-pubblica con Jindal, Arvedi e Cdp, ndr). Ma ora è tempo di sedersi intorno a un tavolo e decidere se l’Ilva deve o meno diventare l’acciaieria numero uno.
Veniamo al Tap…
Il Tap è un tubo, non la Morte Nera. Guardi in Appennino quanti tubi passano sottoterra, non vedo disastri. Il metano ci serve, è l’energia di transizione verso le rinnovabili. Prima di abbandonare il carbone e approdare definitivamente alle rinnovabili c’è il metano, che all’Italia serve.
Eppure anche qui gli enti locali si sono messi di traverso…
Dovevano farlo 10 anni fa. Se non erano d’accordo sul punto di approdo dovevano svegliarsi prima. Non ora, che cosa rappresenta?
L’Italia è bloccata da mille proteste, il cosiddetto Nimby. Di chi è la colpa?
Della politica oltre che di una certa cultura del no.
Quindi anche dei partiti…
Certo. C’entrano moltissimo i Cinque Stelle, che cavalcano queste proteste. Ma anche il Pd ha le sue colpe, voglio essere chiaro. Ma sa qual’è la vera colpa della politica, di qualunque colore?
Me lo dica lei…
Quella di non riuscire a spiegare bene l’opera in essere. Bisogna darsi un orizzonte dentro il quale darsi degli obiettivi. Se l’opera serve a quello allora si fa in quei tempi. Così si può battere la cultura del no.
C’è in gioco il futuro e la crescita del Paese…
È ovvio. Se il futuro sono le rinnovabili, che cosa vogliamo fare, opporci alle rinnovabili? Certo, se qualcuno vuole mettere una pala eolica sul Colosseo allora sì, forse bisogna riaprire i manicomi.